Spetterà in futuro agli storici definire il ruolo di Giorgio Napolitano nella storia d’Italia e nelle vicende della Repubblica. Un ruolo di primo piano se si tiene conto che fu l’unico politico del nostro paese che ebbe una parte di straordinaria importanza nella storia, nella vita e nella direzione del Pci e, insieme, in quella della Repubblica. Di più. Fu l’unico leader, prima del Presidente Mattarella, a venire eletto per due volte consecutive Presidente della Repubblica, da sempre la più prestigiosa carica italiana. E non c’è certo bisogno di scervellarsi per capire a chi allude Emanuele Macaluso, che pure aveva diviso per anni la stessa stanza con Berlinguer a Botteghe Oscure, quando rivela in un libro che Luigi Longo, ex segretario del Pci e successore di Togliatti, gli aveva rivelato «che era pentito di avere scelto Berlinguer come suo successore» ( cfr. Comunisti a modo nostro, Macaluso e Petruccioli, Marsilio 2020, pag. 218,).
Avendo avuto la fortuna di conoscere da vicino sia Napolitano che Macaluso, per meglio raccontare Napolitano, mi permetto di ricordare una confidenza che Macaluso, molto privatamente, mi fece sul suo amico Napolitano qualche mese dopo che, superati decisamente gli 80 e rotti anni, era, suo malgrado, diventato per la seconda volta Presidente degli italiani. Si guardò intorno per essere sicuro che nessuno ci ascoltasse Macaluso, e mi raccontò: «Con Giorgio ci sentiamo ogni mattina. Prestissimo, come abbiamo sempre fatto per decenni. È preoccupatissimo per la rielezione. L’ha accettata per responsabilità verso la Repubblica. Ma lui è in sofferenza. Lo inquieta il pensiero e il rischio di fare al paese danni involontariamente. Dice che bisogna creare subito le condizioni perché possa venire sostituito. Lo assilla - continuò Macaluso - un’idea che all’inizio mi ha stupito ma che in realtà non è tanto bislacca, specie all’età mia e sua di ultraottantenni. M’ha detto: “E se perdo lucidità e non me ne accorgo? capisci i danni che posso fare all’Italia?”. Io la prima volta gli ho detto: “Scusa, se ti capita t’inventi qualcosa e ti dimetti in tronco”. E lui: “Facile a dirsi. E se non me ne accorgo che perdo lucidità proprio perché non sono più lucido?” E poi, quasi di getto: “Purtroppo non c’è uno che possa venire a dirmi: senta Napolitano lei non regge più quindi la dispenso da subito e con effetto immediato dal suo lavoro di Presidente. Insomma, posso danneggiare l’Italia senza volerlo e senza che nessuno me lo possa impedire”». Macaluso parlava quasi rivivendo le angosce del suo amico. Sapeva di potersi fidare e quindi si sfogava anche lui.
Finalmente nel 2015 “Re Giorgio”, come polemicamente lo chiamavano gli avversari, dopo aver sommato nove anni di presidenza della Repubblica, riuscì a passare la mano. Venne eletto al suo posto un altro politico di livello altissimo: Sergio Mattarella. Anche lui, da studioso teorico della norma che il presidente può venire eletto una volta soltanto, sarebbe stato rieletto, e avrebbe accettato per responsabilità verso la Repubblica.
Napolitano, in maniera più lucida di Giorgio Amendola del quale era considerato e si riteneva allievo, insieme a Chiaromonte, Macaluso, La Torre e molti altri dirigenti del Pci, in gran parte meridionali ( aspetto curiosamente poco indagato da studiosi e politologi), aveva segnato nella storia della Repubblica, la rottura di fatto di una parte ampia dei comunisti italiani dalle suggestioni e ipoteche dell’Unione sovietica.
Non una rottura e un rifiuto espliciti. Lo scontro fu indiretto e si consumò per intero attorno alla scelta tra politica del compromesso storico, ipotizzata e teorizzata soprattutto da Berlinguer con l’appoggio di una parte larga della sinistra del Pci ( specialmente dopo il colpo di Stato della destra militare contro la democrazia in Cile) e quella delle larghe alleanze che guardava in modo privilegiato alla tradizione e alla realtà dei socialisti italiani e delle componenti politiche di cultura laica, che Napolitano mise al centro dei suoi sforzi.
Il compromesso storico immaginava una strategia e uno spazio di autonomia crescente del Pci dal movimento comunista internazionale egemonizzato dal comunismo sovietico, senza però romperne per intero e in modo radicale i vincoli con quell’esperienza. Fu attorno a questa questione che si divisero e ricomposero le correnti sotterranee che attraversavano il Pci.
La divisione non era di poco conto. Nel primo caso per il Pci il problema fondamentale diventava l’alleanza coi cattolici della Dc e la strategia che fu chiamata del “compromesso storico”. La seconda ipotesi puntava, invece, alla costruzione di uno schieramento di socialisti e laici che avrebbe dovuto attirare nell’alleanza anche i cattolici di sinistra. Sulla prima ipotesi erano schierate le componenti che sostenevano di essere più di sinistra. L’altra, di cui Napolitano diventerà il leader di fatto puntava a costruire un’alleanza che riunificava il mondo della sinistra: quello socialista, quello comunista, quello laico. Un mondo che veniva considerato prioritario pur senza porre alcuna opposizione di principio contro i cattolici. Nel dibattito i comunisti che sostenevano questa strategia furono soprannominati “miglioristi”, una definizione che diventò un insulto. L’accusa neanche tanto velata contro i “miglioristi” era che avessero rinunciato al progetto di una reale trasformazione della società per inseguire piccoli miglioramenti che lasciavano intatta la realtà violenta dello sfruttamento capitalista. Nel primo caso, laici e socialisti erano una componente utile ma non strategica. Nel secondo, l’unità coi socialisti ed i laici era la componente fondamentale e prioritaria che avrebbe dovuto attrarre e coinvolgere anche le componenti della sinistra cattolica.
La storia avrebbe scelto una strada più semplice energica e lineare facendo crollare, come cosa ovvia naturale e necessaria, il comunismo sovietico. Anche in Italia crollò tutto. Occhetto, l’ultimo segretario del Pci, fece un’assemblea di anziani militanti bolognesi in una sezione e con loro di fatto decise di sciogliere il Pci arrivato fuori tempo massimo all’appuntamento con la storia ( un congresso avrebbe poi approvato tutto nel 1991 trasformando quel che era rimasto del Pci in Partito democratico della sinistra).