Tempi duri per i media russi. Il giornale indipendente Novaya Gazeta ha deciso di sospendere tutte le pubblicazioni (su carta e online), dopo aver ricevuto un secondo avvertimento da parte della Roskomnadzor, l’agenzia che in Russia si occupa del controllo sulle comunicazioni pubbliche e dell’eventuale applicazione della censura. Un duro colpo per la libera stampa che sta facendo ancora i conti con il fermo e la successiva liberazione, quasi due settimane fa, della giornalista di Channel One, Marina Ovsyannikova. A dare notizia della sospensione di tutte le pubblicazioni è stata la stessa redazione di Novaya Gaza sul proprio sito internet. Fino a quando durerà l’oscuramento che si è imposto il giornale sul quale scriveva Anna Politkovskaja? È la stessa redazione a comunicarlo ai suoi lettori. Lo stop durerà «fino alla fine dell'operazione speciale sul territorio dell'Ucraina». Le parole usate sono chiarissime e dosate con la massima cautela. Vietato parlare di guerra: bisogna continuare ad affermare che in Ucraina è in corso un’operazione militare speciale, volta, per dirla con le parole di Putin, alla “denazificazione” del Paese invaso il 24 febbraio scorso e bombardato di continuo. Il primo media a dare notizia della sospensione delle attività di Novaya Gazeta è stata l’agenzia di stampa Tass. Secondo quanto riportato, Roskomnadzor già il 22 marzo comunicò alla redazione di NG una diffida per la diffusione sul sito internet di una notizia riguardante le attività di un’organizzazione senza scopo di lucro russa, operante all’estero, in assenza delle preventive autorizzazioni indicate dalla legislazione statale. La legge della Federazione Russa è molto severa in tal senso e mira a controllare le notizie sulle organizzazioni che svolgono attività nell’interesse di altri Stati. Dopo il secondo avvertimento in un anno, le autorità della Federazione Russa possono revocare per gli organi di stampa la licenza. Di qui la sofferta decisione del giornale diretto da Dmitry Muratov, Premio Nobel per la pace del 2021. Il Dubbio ha contattato una delle sue più strette collaboratrici, Nadya Presenkova. La giornalista con grande garbo ha comunicato che «è un momento delicato» non solo per Novaya Gazeta, ma per tutti gli organi di stampa russi. «Per il momento meglio non aggiungere altro», ha detto. Ma la scure dell’agenzia statale per il controllo sui media si è abbattuta su altre testate. Sempre oggi si è appreso che le pubblicazioni di Ekaterinburg It's My City, edizione di Krasnodar Free Media, sono state bloccate. Nella lista nera è stata aggiunta la rete televisiva e radiofonica internazionale tedesca Deutsche Welle (il suo sito internet non funziona più in Russia), che rientra nell'elenco dei media stranieri ritenuti non graditi. Due giorni fa il blocco ha riguardato il sito web del tabloid tedesco Bild e la pagina di Alexander Nevzorov. Gli account social del giornalista non funzionano più. Nei suoi confronti è stato aperto un procedimento penale in merito alla diffusione di false informazioni sulle attività delle forze armate russe in Ucraina. «Non posso restare ancora in silenzio: quello che sta accadendo a Mariupol è terrorismo», ha dichiarato Nevzorov. Ora rischia quindici anni di carcere. Inoltre, il 27 marzo, Roskomnadzor e l'ufficio del procuratore generale hanno intimato ai media russi di non pubblicare l'intervista con Volodymyr Zelensky. Per un'ora e mezza l'ex caporedattore di Dozhd, Tikhon Dzyadko, il giornalista e scrittore Mikhail Zygar, il caporedattore di Meduza, Ivan Kolpakov, e il corrispondente speciale di Kommersant, Vladimir Solovyov, hanno colloquiato con il presidente ucraino. I dati della censura russa sono chiari e sconfortanti. Da quando, il 24 marzo, Vladimir Putin ha annunciato l'inizio di «un'operazione militare speciale» in Ucraina, Roskomnadzor ha bloccato oltre trenta siti di media russi e stranieri. Inoltre, il canale televisivo Dozhd ha annunciato una sospensione temporanea delle trasmissioni e la più antica stazione radio russa, Ekho Moskvy, ha cessato le attività. Il dissenso non è ammesso e lo dimostra la strada intrapresa dalla Duma, la Camera bassa del Parlamento: il 5 marzo ha approvato all’unanimità (401 voti favorevoli e zero contrari) una legge che soffoca la diversità di vedute. Chi diffonde fake news sull’esercito, notizie che discreditano le forze armate impegnate nell’invasione dell’Ucraina o che incitano alle sanzioni straniere rischia il pagamento di multe salatissime e può essere condannato al carcere. Un provvedimento liberticida che ha provocato la fuga da Mosca di molti corrispondenti di giornali e televisioni straniere. Troppo pericoloso esprimere le proprie idee, troppo pericoloso continuare a fare il proprio lavoro. ll nuovo articolo 207.3 del Codice penale in materia di “Divulgazione pubblica di informazioni consapevolmente false sull’uso delle forze armate” ha inasprito le pene fino a quindici anni di carcere. E non è finita qui. La scorsa settimana il Consiglio della Federazione russa ha approvato degli emendamenti al codice di procedura penale con i quali si chiede di rendere le pene più severe per chi getta discredito sullo Stato e sull’operato di tutti gli organismi russi che operano all’estero. Le conseguenze della guerra sono anche queste nella Russia di Putin.