Lucy Shtein, una delle fondatrici del collettivo punk “Pussy riot”, è stata condannata a sei anni di prigione per un tweet contro la guerra, il pubblico ministero ne aveva chiesti otto e mezzo. È quanto stabilito dal tribunale distrettuale Basmannyj di Mosca, il principale strumento di repressione penale della Russia putiniana, un luogo “kafkiano” dove transitano ogni giorno dissidenti e pacifisti.

Nella spirale paranoica in cui è precipitata la società russa, chi esprime pubblicamente critiche all’invasione dell’Ucraina viene castigato dagli articoli 207.3 e 280.3 del codice penale della Federazione che prevedono la reclusione fino a 15 anni su chiunque getti «discredito» sulle forze armate.

Circa un mese dopo l’inizio della guerra contro Kiev Lucy Shtein aveva commentato su Twitter (oggi X) un video che mostrava la gambizzazione dei soldati russi prigionieri dell’esercito ucraino. Di certo non un messaggio empatico verso i suoi compatrioti in divisa: «I ragazzi sono venuti per bombardare le città di altre persone e uccidere le persone, in risposta gli hanno sparato alle gambe, anche i ceceni avevano paura di torture del genere».

Le autorità giudiziarie russe hanno inizialmente tentato di metterla alla sbarra per “giustificazione dell’uso della tortura” in modo da poterle affibbiare una condanna più pesante, ma anche in un regime autoritario come quello di Putin le accuse devono essere congrue con i comportamenti contestati e gli avvocati di Schtein sono stati bravi nel dimostrarne l’inconsistenza.

Così i giudici hanno ripiegato sul generico «discredito» delle forze armate, spiegando che la donna avrebbe diffuso imprecisate fake news sulla guerra in corso. Oltre ai sei anni di reclusione i giudici hanno anche disposto un divieto di amministrare siti e pagine sui social network per i prossimi tre anni e mezzo. Nel 2021 Shtein era già stata arrestata e condannata per “violazione delle regole sanitarie” stabilite da Mosca durante la pandemia di Covid 19, chiaramente una forma di intimidazione politica nei confronti del collettivo che da oltre un decennio contesta il Cremlino. La prima performance che costò la prigione alle attiviste risale al 2012 con il flash mob nella cattedrale Cristo Salvatore di Mosca.

Per sua fortuna quella di ieri è una condanna in contumacia in quanto Shtein ha lasciato la Russia nell’estate del 2022 assieme alla sua compagna Maria Alekhina (frontwoman delle Pussy Riot), nonostante all’epoca fosse agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. «Ho capito che non potevo più restare nel mio Paese, così ho iniziato a pianificare l’evasione», raccontò nell’autunno del 2022 al quotidiano britannico The Guardian. Dopo il primo arresto Shstein aveva subito diverse minacce mentre sotto la sua abitazione sono comparse delle scritte che la tacciavano di «tradimento» augurandole la morte.

Una fuga rocambolesca quella della giovane attivista, che ricorda la trama di un film di spionaggio. Per eludere la sorveglianza Shtein si travestì infatti da fattorino di fast food, lasciando il cellulare nella sua abitazione come esca: «È così normale osservare i corrieri con le loro tute verdi che attraversano le nostre città, che nessuno mi ha notata». Poi raggiunse il confine con la Bielorussia passando per strade secondarie grazie all’aiuto di un amico, un artista islandese. Dopo una settimana di attesa, Shtein e Alekhina sono finalmente riuscite a varcare la frontiera con la Lituania dove oggi risiede ufficialmente, in attesa di ricevere la nazionalità islandese.