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Piercamillo Davigo non farà parte della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. L’ex pm di Mani pulite, fondatore e leader indiscusso di Automia& indipendenza, l’ultima nata fra le correnti della magistratura associata, avrebbe declinato l’invito di diventare il “giudice” dei propri colleghi. L’indiscrezione arriva direttamente da Palazzo dei Marescialli proprio mentre sono in corso le trattative frenetiche per decidere chi sarà il nuovo vicepresidente dell’organo di autogoverno delle toghe.
La nuova consiliatura si insedierà ufficialmente il 25 settembre. Dopo l’elezione del successore di Giovanni Legnini, su cui al momento regna l’incertezza, si procederà con la nomina dei componenti delle varie Commissioni e con l’elezione dei membri della Disciplinare. Questa Sezione si occupa in via esclusiva, in ossequio del principio costituzionale della giustizia “domestica”, dei procedimenti contro i magistrati promossi dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione o dal ministro della Giustizia a cui la legge ha attribuito l’esercizio dell’azione disciplinare. I magistrati possono essere sanzionati solo per comportamenti “tipizzati”, cioè espressamente indicati dalle legge.
Prima della modifica dell’Ordinamento giudiziario, voluta dall’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, era presente una disposizione secondo cui “il magistrato, anche al di fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria”.
Previsione che lasciava, com’è facilmente immaginabile, un grandissimo potere alla Sezione disciplinare chiamata di volta in volta a giudicare condotte in cui venivano messi sul banco degli imputati concetti legati alle sensibilità del momento, come il “prestigio” o il “decoro”.
Anche se i paletti attuali hanno ridotto i margini di discrezionalità, la Sezione disciplinare è ancora oggi il vero terrore dei magistrati. E’ sufficiente una sanzione per stoppare qualsiasi velleità di carriera. Non essendo previsto l’istituto delle riabilitazione, chi sbaglia è fuori. Ed questa la motivazione principale per cui i magistrati sono molto spesso “indulgenti” nei confronti dei colleghi che sbagliano. Gli illeciti più frequenti, a titolo statistico, sono le scarcerazioni fuori dai termini, il ritardo nel deposito di un provvedimento, il ritardo nell’iscrizione di una notizia di reato, la mancata astensione. Tornado alla Sezione disciplinare, questa è composta da sei membri: il vicepresidente del Csm e cinque componenti eletti dallo stesso Consiglio. Tra questi, un componente laico, un magistrato di Cassazione con effettive funzioni di legittimità, tre magistrati di merito. Con la rinuncia di Davigo il posto di magistrato di Cassazione toccherà obbligatoriamente a Loredana Miccichè ( Magistratura indipendente) in quanto sono solo due le toghe di legittimità elette al Csm. Non accettando la Sezione disciplinare, per Davigo si spalancherebbero le porte della Commissione per gli incarichi direttivi.
La potentissima Quinta commissione, quella che gestisce le nomine dei capi degli uffici e, quindi, il destino della politica giudiziaria del Paese. Rispetto alle nomine di questa consiliatura, circa mille, saranno poche quelle che verranno effettuate nel prossimo quadriennio. L’abbassamento dell’età pensionabile voluto dal Governo Renzi creò centinaia di scoperture che sono state quasi tutte ripianate in questi anni. Le future nomine saranno però di “peso”. Una su tutte, quella del nuovo procuratore della Capitale, posto che sarà lasciato libero da Giuseppe Pignatone, per raggiunti limiti di età, la prossima primavera. Il vero spauracchio per i capi sarà, quindi, la riconferma nell’incarico. I vertici degli uffici, con l’introduzione del principio della temporaneità della funzione, restano in carica per quattro anni. Prorogabili, per una sola volta, di altri quattro. Fino ad oggi un passaggio dall’esito scontato in quanto non esiste un direttivo che non sia rimasto in sella per tutti gli otto anni. Fra i cavalli di battaglia che hanno portato al trionfo di Davigo alle elezioni del Csm vi è stata la lotta alla “lottizzazione” dei vertici degli uffici. Molti posti sarebbero stati assegnati dopo accordi sottobanco fra le correnti dell’Anm, senza tener conto del merito effettivo del candidato. Con l’indiscusso peso mediatico di Davigo, appoggiato apertamente da importanti network nazionali, sarà difficile contestare una sua “palla nera” alla riconferma di un procuratore o di un presidente di Tribunale. Chi oserà mettere in discussione il suo giudizio? La resa dei conti fra le toghe è alle porte.