«Contro Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano collaboratore dell’università del Piemonte orientale di Novara, non è stata emessa alcuna sentenza di condanna». La notizia è stata data dal senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani di Palazzo Madama e dalla senatrice Pd di Novara, Elena Ferrara, componente della Commissione, che si sono recati all’Ambasciata iraniana, insieme a Marietta Tidei, membro Pd del Comitato diritti umani della Camera e componente dell’ufficio di presidenza dell’Assemblea parlamentare dell’Osce. La sorte dello scien- ziato iraniano desta comunque preoccupazione – rilevano ancora Manconi e Ferrara – perché nella missiva che l’ambasciatore iraniano ha inviato in risposta alla mobilitazione dei parlamentari italiani, si precisa che Djalali è stato arrestato con l’accusa di aver collaborato con un paese ostile e di aver agito contro la sicurezza nazionale. Tuttavia, le indagini sarebbero ancora in corso e non è stata emessa alcuna sentenza. «La speranza è che le indagini, chiariscano ogni cosa e che questa vicenda possa trovare velocemente una positiva soluzione, che consenta a Djalali di ricongiungersi alla sua famiglia», sottolineano infine i senatori nella risposta all’ambasciatore.

Djalali è iraniano ed ha 45 anni, è un ricercatore esperto in medicina dei disastri e nel quadriennio 2012- 2015 ha vinto un assegno di ricerca in Italia, all’università del Piemonte orientale Amedeo Avogadro. Prima di sbarcare in Italia, Djalali aveva lasciato l’Iran 8 anni fa con in tasca una borsa di dottorato al Karolinska Institute, per poi recarsi anche a Bruxelles nella prestigiosa Vrije Universiteit. Il professor Djalali è tornato in Iran l’apri- le dello scorso anno per tenere dei seminari all’università di Teheran, ma le autorità iraniane hanno visto quell’occasione come il momento per fare ben altro. Catturato e tradotto in carcere a Evin, Djalali è stato messo in cella d’isolamento con l’accusa di essere una spia internazionale. Il professore non ha avuto diritto a regolare processo né ad alcuna assistenza legale, fino al dicembre 2016. In quel momento Ahmadreza Djalali ha pensato che l’unico modo per far valere le sue ragioni e dare un colpo alle coscienze a livello internazionale fosse iniziare uno sciopero della fame. In questo momento il professor Djalali continua il suo rifiuto del cibo, aggravando di giorno in giorno le sue condizioni di salute.

Per lui i suoi amici e colleghi del Crimedim di Novara hanno lanciato una petizione su Change. org, mobilitato tutta la comunità scientifica internazionale e chiesto aiuto al governo di Italia, Svezia ( dove adesso Djalali abita con la famiglia), Belgio e all’Unione Europea che si sta interessando della vicenda con l’alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini. La petizione ha superato le 200 mila firme.