Analisti e bookmakers concordano: che Giuseppe Conte decida il ritiro dei ministri e il passaggio all'appoggio esterno ora è improbabile. Però non impossibile. Se l'ex premier azzardasse un passo simile, stando alle dichiarazioni ufficiali ma anche a quanto Conte si è sentito dire dal capo dello Stato, la crisi e le elezioni sarebbero certe. Non è detto che sia davvero così. Però non è detto neppure il contrario.

In circostanze normali una crisi di governo a fine legislatura non è una tragedia. Queste però non sono circostanze normali. Il governo resterebbe in carica solo per l'ordinaria amministrazione, cioè condannato all'impotenza. Già ma cosa non potrebbe fare un governo esautorato: il problema ufficiale più grosso sarebbero i 55 obiettivi del Pnrr che devono essere completati entro il 31 dicembre per ricevere la prossima rata del Next Generation Eu. Con l'estate di mezzo le elezioni slitterebbero sino all'autunno inoltrato. Inimmaginabile dunque che a centrare quei 55 obiettivi in tempo sia il prossimo governo, nella nuova legislatura. Il guaio sarebbe grosso anche se Bruxelles e Roma lavorerebbero di certo a spron battuto e con la necessaria spregiudicatezza per cercare di aggirarlo.

Non sarebbe facile e se anche si trovasse un modo per incassare comunque la tranche resterebbero inevasi problemi forse anche più urgenti. Per esempio lo stoccaggio del gas. Draghi ha concentrato molte energie su quel fronte, ben sapendo che il rischio grosso verrà corso in autunno e inverno. I serbatoi devono essere pieni almeno al 90 per cento e qualche giorno fa erano fermi al 58. Non che sia poco, però non è abbastanza. Nell'ultimo decreto il governo ha rovesciato la strategia sin qui seguita e consistente nell'incentivare i privati a comprare e stoccare. Non ha funzionato e d'ora in poi gli acquisti saranno di fatto pubblici. Ma la partita è aperta e se a giocarla dovesse essere un governo privo di poteri per l'Italia il rischio di affrontare l'inverno sguarnita e nuda si moltiplicherebbe.

Poi ci sono gli aiuti, i sostegni o comunque li si voglia definire. Servono ai cittadini, specialmente alle fasce sociali più disagiate che stanno assistendo al crollo del potere d'acquisto ma salvo miracolo dopo agosto sarà peggio. I cerotti sin qui applicati dal governo, peraltro costosi dal momento che sono già stati sborsati 30 miliardi e altri 3 sono in arrivo, non sono sufficienti e nessuno lo sa meglio di Draghi. Ci vorrebbero misure strutturali e la prima in agenda è il taglio del cuneo fiscale. Che però costa molto e con la strada dello scostamento di bilancio, cioè del debito, preclusa dall'Europa non sembra realizzabile. Pare che Draghi abbia un'idea e un progetto, che passerebbe per la creazione di un fondo europeo Sure come quello che fu messo in campo all'inizio della pandemia per la disoccupazione. In questo caso il fondo andrebbe a coprire i costi del taglio del cuneo. È una carta molto difficile anche se a giocarla fosse Draghi. Un altro premier dovrebbe rinunciare senza neppure osare.

Il tentativo di apporre un tetto sul prezzo del gas, e in prospettiva di rivedere tutta la dinamica della formazione del prezzo dell'energia, è una parte saliente della strategia italiana nella crisi. Però, nonostante molti titoli strillino che è quasi fatta, l'obiettivo è invece tutt'altro che conquistato e i passi avanti che sono stati fatti, reali ma anche limitati, si devono tutti all'insistenza dell'Italia e del suo premier. Date le resistenze in campo, un Paese sull'orlo di elezioni al buio e comunque un premier meno autorevole avrebbero possibilità zero di farcela. Non che ci siano solo guerra e crisi.

Oggi la prima preoccupazione di Draghi, o almeno la più impellente è la crisi idrica, la peggior siccità degli ultimi 70 anni. Ma non si pecca di catastrofismo congenito se, con i dati di oggi, si teme una possibile ripresa virulenta del virus in autunno- inverno. Se, su l'uno come sull'altro fronte, si rendessero necessarie misure drastiche, un governo sfiduciato semplicemente non potrebbe prenderle. Il problema più grosso, forse, sarebbe quello meno palpabile. La mazzata per la credibilità di un Paese sempre sospetto di inaffidabilità sarebbe inevitabile e le conseguenze, quelle invece concrete, nei rapporti con gli altri Paesi e con la Ue sarebbero altrettanto difficilmente evitabili. È quel che frena Conte nella sua corsa per sganciarsi dal governo. Ma se il fattaccio dovesse realizzarsi a essere frenati nel dar corso alla minaccia di passare al voto anticipato sarebbero Mattarella e Draghi.