La pace è ora in mano ad Hamas. Ieri nel corso della conferenza stampa seguita al suo incontro con Netanyahu, Trump ha annunciato la proposta di Piano per la Pace a Gaza «un grande giorno per la pace», aggiungendo però che se Hamas non dovesse accettare la proposta, Israele avrebbe il completo supporto degli Stati Uniti «per finire il lavoro eliminando la minaccia di Hamas».

Il premier israeliano pochi minuti dopo ha ribadito il concetto: «Se Hamas non dovesse accettare la proposta, o dovessero accettarla per poi violarne i termini, Israele finirebbe il lavoro». Trump nel corso del suo discorso ai generali riuniti a Quantico, in Virginia, ha sottolineato che grazie al suo intervento «potrebbe esserci stato l’accordo in Medio Oriente che non si è mai raggiunto in tremila anni» e ha posto un termine ad Hamas la cui risposta dovrà giungere «entro tre o quattro giorni». Nel caso dovesse rifiutare «l’offerta, lascerò che Israele faccia ciò che deve. Non c’è molto margine di negoziazione», ha detto Trump.

Le sabbie del tempo scorrono veloci per Hamas. Una fonte citata da Agi e Afp ha rivelato che i funzionari del Movimento islamista palestinese «hanno avviato una serie di consultazioni a livello politico e militare sia all’esterno che all’interno dei confini di Gaza». I colloqui e le consultazioni proseguiranno probabilmente per qualche giorno date le difficoltà logistiche, i funzionari di Hamas, dopo il raid israeliano a Doha contro la delegazione negoziale palestinese, hanno adottato diversi accorgimenti nel timore di essere eliminati.

Lo spiraglio creato dall’annuncio della proposta, e dall’accettazione da parte di Israele, potrebbe però richiudersi. Il piano infatti sarebbe «completamente sbilanciato in favore di Israele» e imporrebbe «condizioni impossibili». È quanto rivelato a Reuters da un’altra fonte interna al Movimento. «Ciò che Trump ha proposto è la piena adozione di tutte le condizioni israeliane, che non garantiscono al popolo palestinese o ai residenti della Striscia di Gaza alcun diritto legittimo», ha riferito la fonte. Di opposto avviso le rivelazioni di un’altra fonte, vicina ai negoziatori, raccolte dall’emittente americana Cbs, secondo cui la risposta dovrebbe arrivare già oggi.

La proposta è stata accolta favorevolmente dai Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Bahrein e Oman), convinti che «potrebbe contribuire ad aprire la strada a un percorso reale e giusto che garantisca i diritti inalienabili del popolo palestinese».

Mentre proseguono le consultazioni tra Hamas e le delegazioni negoziali di Qatar, Egitto e Turchia, in Israele non tutti sono convinti dalla proposta. Il ministro delle finanze israeliano, Bezalel Smotrich, ha infatti definito il Piano per la pace «un clamoroso fallimento diplomatico, un chiudere gli occhi e voltare le spalle a tutte le lezioni del 7 ottobre», aggiungendo che «finirà in lacrime. I nostri figli saranno costretti a combattere di nuovo a Gaza».

Il Piano per la pace nei venti punti un cui è declinato in venti prevede l’immediata cessazione delle operazioni militari, in caso di accettazione di entrambe le parti, con il congelamento della linea del fronte e l’ingresso degli aiuti umanitari sotto l’egida dell’Onu e della Mezzaluna rossa. Entro 72 ore dall’accettazione Hamas dovrà liberare tutti gli ostaggi ancora in vita e restituire i corpi di coloro che sono morti mentre Israele dovrà liberare 250 ergastolani e 1.700 cittadini gazawi detenuti nelle prigioni israeliane dal 7 ottobre.

Altre condizioni sono la demilitarizzazione totale della Striscia, il disarmo di Hamas, la distruzione delle sue infrastrutture militari, compresi tunnel e siti di costruzione delle armi, oltre all’estromissione del Movimento, e di ogni altra fazione ad esso collegato, dal futuro governo della Palestina. Questo sarebbe guidato, almeno nelle fasi iniziali, dal Consiglio della Pace presieduto dallo stesso Trump. Il CdP si occuperebbe di amministrare il territorio della Striscia nelle more della riorganizzazione dell’Anp (altro punto dell’accordo).

Secondo numerosi organi di stampa internazionale il governo transitorio potrebbe essere guidato dall’ex primo ministro britannico Tony Blair. Un punto che merita d’essere segnalato è quello che prevede che «mentre la riqualificazione di Gaza avanza e quando il programma di riforma dell’Anp verrà portato avanti, potrebbero finalmente crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e lo Stato palestinese, che riconosciamo come l’aspirazione del popolo palestinese». Nessuna menzione però della Cisgiordania, il cui futuro rimane incerto.

Quest’ultimo punto, così come quello che prevede il ritiro delle Idf dalla Striscia, sembra non siano stati compresi appieno dal premier israeliano che, nonostante abbia accettato la proposta, ieri ha dichiarato che le Idf «rimarranno nella maggior parte del territorio» e riguardo all’accettazione da parte di Israele della possibilità di un futuro Stato di Palestina ha dichiarato: «Assolutamente no, e non è nemmeno scritto nell’accordo. Ma una cosa l’abbiamo detta: siamo fermamente contrari a uno stato palestinese».

Tutte queste però sono tematiche che potrebbero non essere più di competenza di Netanyahu tra qualche mese. La componente più estrema del suo governo, composta dai partiti di Smotrich e Ben Gvir, ha annunciato più volte che, qualora Israele avesse raggiunto un accordo con Hamas, avrebbero lasciato la coalizione di governo facendolo cadere. Se questo dovesse concretizzarsi gli israeliani potrebbero essere chiamati alle urne nel 2026 e non è affatto scontato che Netanyahu possa essere riconfermato alla guida dello Stato Ebraico.