È una lettera sconsolata e durissima quella pubblicata da circa sessanta personalità della sinistra israeliana, tra intellettuali, accademici, scrittori, ex parlamentari e attivisti per la pace, tutti oppositori del governo Netanyahu che hanno contestato gli scorsi mesi nelle piazze, nessun fanatico anti-palestinese, al contrario. Tra i firmatari la professoressa Eva Illuz dell’Ecole des hautes etudes di Parigi, lo storico e pacifista Adam Raz, l’ex deputato di Meretz Mossi Raz, la docente di storia all’università di Tel Aviv Yael Sternhell, l’editorialista di Haaretz Odeh Bishrat, il direttore dell’ong umanitaria Standing Together Alon Lee Gree che lavora fianco a fianco con le associazioni palestinesi.

Si rivolgono però ai «progressisti americani ed europei», denunciando la loro tolleranza nei confronti del movimento islamista di Hamas, di aver reagito con «indifferenza», se non addirittura «giustificato» i massacri del 7 ottobre, rifiutandosi di condannare apertamente la strage di civili, anzi, attribuendone la responsabilità primaria a Israele e agli stessi ebrei, chiamati «sionisti», anche quando sono bambini di sei anni. O magari nascondendosi dietro «contestualizzazioni storiche», oppure cavandosela con la pèeggiore ipocrisia: «C’è persino chi sostiene che gli estranei non hanno diritto di giudicare le azioni degli oppressi». Tanti modi diversi, più o meno sofisticati, più o meno ostili per dire che quelle violenze in fondo se le sono cercate.

«In questo momento più che mai abbiamo bisogno del sostegno e della solidarietà della sinistra internazionale e mai avremmo immaginato che figure progressiste, sostenitori dell’uguaglianza, della libertà e della giustizia rivelassero una simile insensibilità morale e incoscienza politica», si legge nella lettera aperta che insiste sulla profonda frattura che si è creata nella sinistra. In Europa spicca il caso della Francia, dove il leader degli insoumis Jean Luc Mélenchon non ha speso una parola di compassione sui civili israeliani assassinati, definendo la strage «un’offensiva armata di Hamas che si inserisce in un contesto di intensificazione della politica di occupazione israeliana».

Oltreoceano l’epicentro di questa spaccatura è invece all’interno dei campus universitari, a partire dalla prestigiosa Harvard dove una trentina di gruppi studenteschi hanno manifestato a favore della causa palestinese, equiparando Hamas e le feroci brigate al Qassam alla «resistenza» di tutto un popolo e spiegando in un comunicato che «Israele è l’unico regime da condannare». Scene simili anche a Satnford, a Columbia e alla New York university dove il capo della Student bar association rivendica la sua non condanna alla «resistenza palestinese» .

Di fronte al silenzio delle istituzioni accademiche e alla mancata condanna della mattanza nei kibbutz e al rave party nel Negev è intervenuto l’ex presidente di Harvard Larry Summers, dicendosi «disilluso e alienato» dalla vigliaccheria e dall’equidistanza dell’ateneo. La polemica è tracimata anche fuori dai campus, coinvolgendo il movimento per i diritti degli afroamericani “Black lives matter”: sul sito internet della sezione di Chicago è apparsa l’immagine stilizzata di un miliziano di Hamas che si lancia con il parapendio (uno dei mezzi impiegati per compiere le stragi del 7 ottobre) con la didascalia: I stand with Palestine.

Assimilando la causa della Palestina con le sanguinose operazioni paramilitari del movimento islamista, parte della sinistra cade paradossalmente nello stesso mortale errore che storicamente rimprovera ai suoi avversari: confondere i terroristi con la popolazione palestinese, il programma nichilista di Hamas con le aspirazioni di un intero popolo. Come fanno notare i firmatari della lettera aperta evocando il «tradimento dei nostri principi fondamentali», non c’è nulla di più distante di un gruppo come Hamas dai valori della sinistra democratica: «È un’organizzazione teocratica che attua una feroce repressione dei suoi nemici interni, contraria alla pace e all’uguaglianza e a ogni altro valore universale che abbiamo sempre sostenuto. Legittimare o scusare le sue azioni vuol dire tradire i principi fondamentali della sinistra».