Ci sono due notizie interessanti, oggi, che riguardano la giustizia. La prima è la decisione del tribunale di prorogare fino al 2019 la carcerazione preventiva per gli imputati del processo di mafia-capitale. La seconda è che una ragazza romena, che si chiama Doina Matei, dopo aver trascorso in prigione nove anni per un omicidio preterintenzionale, ora è uscita in regime di semilibertà.La prima notizia non ha suscitato scalpore. La seconda sì. La prima notizia è passata sotto silenzio: cosa normale. La seconda ha fatto un gran baccano. Nessuno, mi pare, è rimasto colpito dal fatto che alcuni imputati per gli appalti truccati a Roma resteranno in carcere per quattro anni e mezzo in attesa che si concluda il processo.La seconda notizia invece ha smosso una grande indignazione. Popolare e anche d’elite. Hanno gridato la loro rabbia i “social” (cioè facebook, twitter e altri) e con loro anche i grandi giornali. Perché non solo Doina è andata libera dopo solo nove anni, ma si è anche fatta fotografare, spensierata, sulla spiaggia, e ha messo le foto su facebook. E ciò è stato considerato indecente e irrispettoso.Forse prima di ragionare è necessario ricordare cosa è successo nove anni fa, nel 2007. In un vagone molto affollato di una metropolitana romana, scoppiò una rissa tra due ragazze. Una italiana e una straniera. La prima si chiamava Vanessa Russo, la seconda era Doina. La ragazza rumena, a un certo punto, vibrò una ombrellata e colpì al volto Vanessa. Più precisamente, con la punta dell’ombrello la colpì su un occhio, e l’ombrello penetrò e uccise Vanessa.Doina non voleva uccidere Vanessa e questo fu riconosciuto al processo. Nessuno può pensare di uccidere una persona servendosi di un ombrello e dunque era da escludere la volontarietà dell’omicidio. E così il tribunale condannò Doina - che era una ragazzetta un po’ disadattata di 18 anni - a ben 16 anni di carcere. Quasi la pena massima, visto che il codice prevede per questo tipo di delitto il carcere dai 10 ai 16 anni (anche meno di dieci nel caso di attenuanti, come ad esempio la giovanissima età dell’aggressore).Da allora sono passati - dicevamo - nove anni. La legge Gozzini prevede che in caso di buona condotta, chiunque, dopo aver scontato la metà della pena, può godere di un regime di semilibertà. E cioè trascorrere fuori dal carcere la giornata, e poi tornare in cella la sera. Doina ha scontato la metà della pena ormai da un anno. Perché non avrebbe dovuto tornare in libertà? Dov’è lo scandalo?Forse perché è rumena? Forse perché nell’opinione pubblica si fa strada l’idea che per un delitto, qualunque delitto, è sempre bene dare l’ergastolo, visto che non c’è la pena di morte, e al diavolo il codice penale?Giornali serissimi, molto importanti, ieri hanno dato l’impressione di essere orientati in questo modo.Poi c’è la questione carcere preventivo. Cioè il caso di mafia-capitale. Anche qui, diciamolo subito, come nel caso di Doina, la legge è stata rispettata in modo rigoroso. La legge, e le sentenze precedenti della Corte di Cassazione, autorizzano una proroga così lunga della carcerazione preventiva, nel caso di delitti mafiosi. E come sapete, è stata riconosciuta la modalità mafiosa nei delitti romani, sebbene non risultino morti, né feriti, né agguati, che in genere sono le azioni caratteristiche della mafia.Dunque niente da obiettare sul piano della legalità. Ma qui si pone una questione di buonsenso. E forse di civiltà. E’ accettabile in un paese moderno e liberale come l’Italia, nel 2016, che una persona non condannata (e dunque considerata a tutti gli effetti innocente, come stabilisce la nostra Costituzione) possa trascorrere fino a quattro anni e mezzo in carcere in attesa di essere giudicata? Sì, certo, è tutto legale. Ma è anche, molto probabilmente, anticostituzionale.Il problema dell’eccesso del carcere preventivo (più di un quarto della popolazione carceraria non ha subito condanne definitive) sta diventando un problema molto grande in Italia. Che purtroppo la politica non ha il coraggio di affrontare, e la magistratura talvolta non può affrontare, talvolta non vuole.In questo caso la motivazione della carcerazione preventiva è la pericolosità degli imputati. Naturalmente è una motivazione che può essere messa in discussione, così come può essere messo in discussione il teorema sulla “mafiosità” della corruzione romana. Comunque è una motivazione. In moltissimi altri casì però la motivazione di lunghissime carcerazioni preventive non c’è. Mancano gli elementi necessari per arrestare (pericolo di fuga, pericolo di ripetizione del reato o pericolo di inquinamento delle prove) e la carcerazione avviene perché viene considerata dagli inquirenti un mezzo di indagine. Ma la domanda è questa: tenere in prigione una persona per facilitare le indagini, è lecito? E cioè: è corretto mescolare strumenti di indagine ed esecuzione della pena? Ed è giusto far scontare pene detentive anche molto lunghe a imputati forse innocenti?P. S. Ieri il Procuratore Pignatone, parlando alla Luiss, ha spiegato che «Roma non è una città in mano alla mafia ma è una città caratterizzata da presenze mafiose significative. La fortuna per noi inquirenti è che non ci sono omicidi né stragi. Non c’è bisogno di ammazzarsi perché ci sono soldi per tutti». Sono parole sicuramente sagge. Ma una criminalità che delinque senza uccidere, senza terrorizzare, senza estorcere nulla ai cittadini comuni, siamo sicuri che non sia semplicemente criminalità ordinaria? Cos’è che distingue la criminalità comune da quella mafiosa, se non la violenza e il terrorismo diffuso?