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Papa Francesco
Non solo le quattro «vicinanze» - a Dio, al vescovo, agli altri presbiteri, al popolo - indicate come coordinate, come «fondamenta solide» e «colonne costitutive» della vita sacerdotale, Ma anche una serie di bacchettate su ciò che non va, sulle carenze e inadeguatezze nelle comunità di presbiteri: dall'invidia al bullismo, dall'essere «scapoloni» fino alle «calunnie, la maldicenza, il chiacchiericcio». C'è tutto questo nell'ampio discorso che Papa Francesco pronuncia nella Sala Nervi in apertura del simposio internazionale «Per una teologia fondamentale del sacerdozio», promosso da oggi a sabato dal prefetto dei Vescovi, card. Marc Ouellet, insieme al Centro di Ricerca e di Antropologia delle Vocazioni per affrontare temi cruciali nell'attuale crisi del sacerdozio, come l'emergenza-abusi, il calo vocazionale, il celibato. lo stesso ruolo da dare alla donna. E proprio sul celibato è lo stesso Francesco a dire cose "trancianti": «Il celibato è un dono che la Chiesa latina custodisce, ma è un dono che per essere vissuto come santificazione necessita di relazioni sane, di rapporti di vera stima e di vero bene che trovano la loro radice in Cristo. Senza amici e senza preghiera il celibato può diventare un peso insopportabile e una contro-testimonianza alla bellezza stessa del sacerdozio».
Per il Papa, «la crisi vocazionale che in diversi luoghi affligge le nostre comunità» spesso è dovuta «all'assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso, per cui esse non entusiasmano e non suscitano attrattiva». Mentre «molte crisi sacerdotali hanno all'origine proprio una scarsa vita di preghiera, una mancata intimità con il Signore, una riduzione della vita spirituale a mera pratica religiosa», dice portando l'esperienza di «questi più di 50 anni di sacerdozio», di cui non nasconde i «momenti bui». «Senza una relazione significativa con il Signore il nostro ministero è destinato a diventare sterile», avverte, e «troppo spesso, ad esempio, nella vita sacerdotale si pratica la preghiera solo come un dovere». La vicinanza al vescovo, invece, consente «di rompere ogni tentazione di chiusura, di autogiustificazione e di fare una vita "da scapolo", o da "scapolone". Quando i preti si chiudono, si chiudono..., finiscono "scapoloni" con tutte le manie degli "scapoloni", e questo non è bello». Un'altra denuncia tocca «l'incapacità di gioire del bene altrui, degli altri, è l'invidia - voglio sottolineare questo - che tanto tormenta i nostri ambienti (...). È tanto presente l'invidia nelle comunità sacerdotali. E la Parola di Dio ci dice che è l'atteggiamento distruttore: per invidia del diavolo è entrato il peccato nel mondo. È la porta per la distruzione. E su questo dobbiamo parlare chiaro, nei nostri presbitéri c'è l'invidia. Non tutti sono invidiosi, no, ma c'è la tentazione dell'invidia a portata di mano. Stiamo attenti. E dall'invidia viene il chiacchiericcio». Ma il Papa va oltre, poiché «per sentirci parte della comunità», «non abbiamo bisogno di "vantarci", né tanto meno di "gonfiarci" o, peggio ancora, di assumere atteggiamenti violenti, mancando di rispetto a chi ci è accanto. Ci sono anche forme clericali di bullying», rivela. E sempre dall'invidia ha origine la prassi di «attentare alla verità e alla dignità dei fratelli attraverso le calunnie». «Si arriva a questo, anche alle calunnie, per arrivare a un posto… E questo è molto triste - lamenta -. Quando da qui si chiedono informazioni per fare vescovo qualcuno, tante volte riceviamo informazioni ammalate di invidia. E questa è una malattia dei nostri presbitéri. Tanti di voi siete formatori nei seminari, tenetene conto». Secondo Francesco, infine, «il posto di ogni sacerdote è in mezzo alla gente», poiché «il Popolo di Dio spera di trovare pastori con lo stile di Gesù - e non "chierici di stato" o "professionisti del sacro"». Quindi la strigliata conclusiva: «Il clericalismo è una perversione, e anche uno dei suoi segni, la rigidità, è un'altra perversione», e «quando penso al clericalismo, penso anche alla clericalizzazione del laicato». Ed è proprio nel «clericalismo» che il card. Ouellet, nel saluto inaugurale, riunisce «un insieme di fenomeni: abusi di potere, abusi spirituali, abusi di coscienza, di cui gli abusi sessuali non sono che la punta dell'iceberg, visibile e perversa, che emerge da deviazioni più profonde da identificare e smascherare». Con l'«umiliazione» che «peccati e crimini di ministri indegni sono sulle prime pagine della stampa internazionale, per aver tradito il loro impegno o per aver vergognosamente coperto i colpevoli di simili depravazioni». E così l'occasione è propizia, conclude, «per esprimere il nostro sincero rammarico», «per domandare ancora perdono alle vittime» e «per unire la nostra voce a quella di coloro che reclamano verità e giustizia».