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«Sono stato il primo ministro della Protezione civile. Anzi, siccome parliamo di anni in cui il manuale Cencelli la faceva da padrone, la mia nomina fu di Alto Commissario per la Protezione civile. Era il primo governo Spadolini. Poi nel secondo si superò il problema. Il merito però va al presidente Pertini che, dopo aver visitato le zone terremotate dell'Irpinia, diede un impulso fortissimo alla cosa. Da oltre dieci anni, però, il ministro è stato sostituito da un sottosegretario». Giuseppe Zamberletti, commissario straordinario nei terremoti del Friuli '76 e Irpinia '80, presidente onorario dell'Istituto di studi e ricerche sulla protezione civile e difesa civile (Ispro), è a buon diritto considerato il padre della Protezione civile italiana.Qual è stata la sua prima reazione alla notizia del terremoto di Amatrice?Angoscia. Mi era già successo con L'Aquila e con gli altri tragici eventi drammatici che hanno sconvolto la nostra penisola. Il ricordo del Friuli e dell'Irpinia hanno lasciato in me un segno indelebile. Passato questo primo momento il mio pensiero è andato alle vittime e a tutti quelli che sono impegnati dalle prime ore nelle operazioni di soccorso. Questo è un terremoto difficile: bisogna arrivare in piccoli borghi.Quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano?Nella prima fase ogni minuto è prezioso per poter salvare delle vite umane. La Protezione civile è una macchina molto complessa, fatta di tante componenti che vanno organizzate. La buona riuscita è legata all'azione armonica di tutte le forze presenti sul campo.Quale giudizio dà del lavoro della "sua" creatura?La Protezione civile anche in questa occasione ha dato una grande prova di efficienza. La macchina dei soccorsi ha funzionato bene, se teniamo conto della zona e delle strade statali strette e difficili. Queste emergenze hanno evidenziato sempre la grande importanza dei gruppi locali addestrati, che conoscono il territorio e le zone a rischio.Passata la fase dei primi soccorsi bisogna pensare al dopo. La ricostruzione delle zone terremotate spesso ha presentato delle criticità.In Friuli sono stato Commissario del governo per il coordinamento dei soccorsi. La ricostruzione fu affidata alla Regione che fece proprio quello che era il cuore dell'organizzazione che avevamo messo a punto al commissariato: furono dati poteri ai sindaci, aiutati da un servizio speciale tecnico-amministrativo di supporto. E lì le cose hanno funzionato bene.L'Irpinia viene, invece, ricordata per gli sprechi.Questo giudizio non è corretto. I sindaci, così come in Friuli, hanno dato un grosso contributo alla ricostruzione dei paesi. Ricordo ad esempio i primi cittadini di Lioni, Sant'Angelo dei Lombardi e Conza. Quest'ultimo in particolare convinse la sua gente a ricostruire il paese in una zona più sicura. Ci riuscì perché era credibile e aveva l'appoggio di tutte le istituzioni.Qual è stato il problema?L'industrializzazione forzata di quei territori. L'idea di far diventare industriali quelle province che non lo erano mai state. Ricordo l'appello in Parlamento di Ciriaco De Mita: "Non ricostruiamo presepi abbandonati". Oggi purtroppo sono deserti industriali. E da qui il parallelo tra terremoto dell'Irpinia e spreco.Anche per L'Aquila le cose non sono andate benissimo.In questo caso il povero sindaco Massimo Cialente è stato tagliato fuori da ogni decisione. Tutto passava sulla sua testa. È stato un grandissimo errore. Per fortuna si sta recuperando parte del tempo sprecato e il centro storico dell'Aquila sta risorgendo.Dopo quest'ultimo terremoto si riuscirà a puntare sulla prevenzione?È uno dei compiti previsti dalle legge della Protezione civile. Il problema è culturale: pensiamo sempre che il terremoto toccherà a qualcun altro.Allora non c'è speranza?Occorrono finanziamenti, ma anche la consapevolezza di dover adottare modelli di comportamento a ogni livello. Dai politici ai tecnici, ma soprattutto ai singoli cittadini. Nel 1984 in Abruzzo ci fu una scossa che non fece vittime ma solo danni, furono stanziati i fondi per ricostruire e riparare le case danneggiate, ma anche per gli immobili non lesionati con tecnologie antisismiche. Risultato? Le verande furono più degli interventi per la messa in sicurezza.Quindi la messa in sicurezza degli edifici basta?È fondamentale, ma serve anche altro. Le esercitazioni di Protezione civile non andrebbero fatte solo per testare la macchina organizzativa, ma anche per informare e formare i cittadini su come comportarsi in caso di eventi così drammatici. La nonna di Amatrice che ha salvato la nipotina mettendola sotto il letto ha fatto una perfetta manovra di sicurezza.