Giovedì scorso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha nominato il generale David Zini capo dello Shin Bet, il servizio segreto interno di Israele, al posto di Ronen Bar. Si chiude qui, almeno per il momento, un contenzioso istituzionale che sembra corrodere dall'interno la democrazia israeliana.

Il giorno prima infatti la Corte suprema aveva giudicato illegale la decisione del governo (in primis quella del premier), una mossa che aveva scatenato proteste di massa nel paese con migliaia di ricorsi arrivati sul tavolo della Corte stessa, che ha dovuto esaminarli.

Nella sentenza del tribunale si poteva infatti leggere che «la decisione del governo di porre fine al mandato del capo dello Shin Bet è stata presa attraverso un processo improprio e illegale» dando così ragione a chi sosteneva che il governo stava minando le istituzioni statali chiave e mettendo in pericolo le fondamenta dello stato democratico. In ogni caso Bar si sarebbe comunque dimesso il 15 giugno, come aveva annunciato già ad aprile, assumendosi le proprie responsabilità riguardo le defaillance della sicurezza in merito agli attacchi del 7 ottobre 2023 di Hamas contro Israele. Sebbene nella sua dichiarazione giurata, Bar ha detto che lo Shin Bet aveva allertato l'apparato di sicurezza di Netanyahu poco prima del massacro e che «nulla era nascosto» quella notte.

Netanyahu dunque aveva motivato il licenziamento di Bar sostenendo che fosse venuto meno il rapporto di fiducia fra di loro, ma la defenestrazione del capo della Sicurezza interna era arrivata nel mezzo di un aspro scontro derivato dall'indagine sul cosiddetto Qatargate che ribolliva da mesi, con accuse di fughe di notizie e traffico di influenze provenienti dall'ufficio stesso di Netanyahu.

Lo Shin Bet aveva aperto un'indagine sulle accuse a Bar già, a febbraio e in una lettera al governo che contestava il suo licenziamento trapelata ai media, si considerava il completamento dell'indagine come un «dovere pubblico di prim'ordine». Netanyahu, che è sotto processo per una serie separata di accuse di corruzione che, in ogni caso continua a negare, ha sempre respinto tutto ciò come fake news e frutto di una campagna politicamente motivata contro di lui. Anche il Qatar ha giudicato le accuse come parte di una campagna diffamatoria contro l'Emirato.

Ma le ragioni della rotta di collisione tra Bar e Netanyahu sono corredate di uno scambio di accuse ancora più feroce e con aspetti imbarazzanti. Bar infatti non ha fatto mistero che il premier gli aveva fatto presente «in più di un'occasione» che si aspettava che lo Shin Bet prendesse provvedimenti contro gli israeliani coinvolti nelle manifestazioni antigovernative, «con particolare attenzione al monitoraggio dei finanziatori delle proteste». E ancora, il capo dello Shin Bet si sarebbe rifiutato di firmare una richiesta per sollevare Netanyahu dal testimoniare nel processo per corruzione in cui, appunto, affrontava accuse di tangenti, frode e violazione della fiducia pubblica.

Materiale esplosivo che finché è in corso la guerra a Gaza sembra non riuscire a trovare il giusto spazio. Il conflitto infatti ha azzerato anche le proteste che hanno portato in piazza migliaia di israeliani contro i propositi di riforma della giustizia voluti dall'esecutivo. In quell'occasione Netanyahu, sotto la spinta dei manifestanti, fu sull orlo di doversi dimettere. Il 7 ottobre ha scompaginato la situazione precipitando Israele in un clima di mobilitazione bellica. Il conflitto infatti continua e anzi il governo ha recentemente approvato i piani per un occupazione dell enclave palestinese ormai ridotta in macerie.

La vicenda del licenziamento di Bar e la posizione presa dalla Corte Suprema sembrano essere solo l'ultimo capitolo della lotta tra governo e apparato giudiziario, uno scontro destinato a continuare così come le azioni dei sostenitori degli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza, scioccati dalla decisione di riprendere a bombardare dopo settimane di tregua.