«È un circolo elitario di vecchi sinistrorsi!», così qualche giorno fa un deputato del Likud aveva sparato a zero sulla Corte suprema israeliana, “colpevole” di frenare le iniziative della maggioranza con i suoi poteri di supervisione e di veto sulle leggi approvate dalla Knesset (il Parlamento). E non si tratta solamente di una battuta acida, di un offesa lanciata a causa di vecchi rancori politici, ma di un attacco mirato del nuovo governo di destra guidata dall’highlander Benjamin Netanyahu contro uno dei pilastri dello Stato ebraico. Mai si era spinto così oltre. L’obiettivo è manifesto: impedire che gli alti giudici pongano obiezioni sui futuri provvedimenti dell’esecutivo attraverso una riforma costituzionale che elimini il diritto di veto e trasferisca al governo i poteri di nomina sulla falsariga modello americano.

Una “rivoluzione conservatrice” scrivono i giornali di Tel Aviv che in questi giorni stanno ospitando i pareri, molto preoccupati dei giuristi, magistrati, avvocati, accademici, nei confronti di un progetto che stravolgerebbe la sostanza democrazia israeliana e della separazione tra i poteri, trasformando Israele in qualcosa di simile «alla Polonia o all’Ungheria di Orban» si legge in un editoriale del quotidiano moderato Yediot Aharonot.

Attualmente la Corte suprema conta 15 giudici di cui la metà donne, alcuni sono anche di fede musulmana e vengono scelti tramite un comitato di nomina composto dalle toghe più anziane, da membri dei partiti e dagli avvocati della Bar Association. A volte hanno dovuto prendere scelte impopolari e molto dolorose per la nazione, come l’assoluzione del presunto “boia di Treblinka” Ivan Demjanjuk, accusato dello sterminio di migliaia di ebrei polacchi durante la Seconda guerra mondiale, che venne prosciolto per insufficienza di prove in ossequio al principio della presunzione di innocenza.

«Senza avvisi giuridici indipendenti varrebbe solo il principio della maggioranza politica, così diventiamo una democrazia solo sulla carta ma non nella sostanza», tuona la procuratrice generale Gali Baharav- Miara.

È l’ala più radicale della coalizione che spinge Netanyahu a mettere le mani sulla Corte suprema, come l’estrema destra religiosa che diverse volte ha visto i giudici bloccare i progetti di espansione rifiutando di assegnare status legale a diverse colonie in Cisgiordania. O accordare agli ultraortodossi il diritto di non prestare servizio militare.

Ma come racconta un membro della Corte che è voluto rimanere anonimo, i guai giudiziari di Netanyahu, accusato di corruzione dalla procura di Gerusalemme, hanno influito in modo decisivo sulla scelta di attuare la brutale riforma: «Senza processo non avrebbe scelto questa strada».

Tuttavia il premier israeliano dispone di una maggioranza risicatissima alla Knesset, una sessantina di deputati su 120 che, oltre a rendere precario il suo ennesimo governo, rende complicato lo stesso obiettivo di modificare la Costituzione. Sia dal punto di vista numerico che della legittimità politica, la strada non è dunque in discesa per il governo più a destra della storia israeliana, ma la volontà, quella c’è tutta..