Dai referendum alla riforma di mediazione Cartabia, passando per le prossime elezioni del Csm: dialogo con Stefano Musolino, segretario di Magistratura democratica.

Roberto Calderoli, in una conferenza stampa organizzata col Partito radicale, ha annunciato lo sciopero della fame per abbattere il muro di silenzio sulla campagna referendaria. Che pensa dell’iniziativa?

Che l’avrei riservata al sostegno di cause ben più rilevanti. Il problema non è la stampa che dà poco spazio alla campagna, ma l’assenza di un reale interesse pubblico per la notizia. Molti quesiti, ad esempio stabilire se un candidato al Csm debba avere o no 25 firme a sostegno, costituiscono un obiettivo logoramento dello strumento referendario. Questi quesiti non appassionano i cittadini, di conseguenza i media non gli dedicano spazio.

Però il referendum è uno strumento garantito dalla Costituzione. Il cittadino va messo nelle condizioni di “Conoscere per deliberare”, lo diceva Einaudi.

Che io sappia la Rai concede molti spazi. Quelli ulteriori andrebbero conquistati dall’interesse pubblico, che invece manca.

Nell’ultimo mese la Rai ha dedicato al referendum meno di due ore.

Guardi, io credo che potrebbe dedicare alla campagna anche 10 ore al giorno, ma permane un problema: lo scarso appeal della notizia. Il referendum è stato, tradizionalmente, lo strumento utilizzato da minoranze politiche, prive di rappresentanza parlamentare, per conseguire progressi autentici sul tema dei diritti fondamentali. Questi referendum invece sono sostenuti da forze politiche largamente rappresentate in Parlamento e al governo, si fondano su sterili slogan a sostegno di astrusi quesiti che occultano pessimi effetti.

Una riflessione su un quesito su cui dovreste essere d’accordo: quello sul voto degli avvocati.

Magistratura democratica sostiene la necessità di ampliare le fonti di conoscenza in sede di valutazione di professionalità, anche grazie al contributo del Foro. Ma il risultato dell’intervento ortopedico del referendum sulla norma non offre alcuna garanzia di una partecipazione dell’avvocatura sterilizzata da personalismi e faziosità. Benché avessimo preferito riconoscere all’avvocatura un diritto di tribuna, con diritto di parola, ritengo che il progetto di riforma Cartabia, sul punto, costituisca un saggio compromesso.

A proposito di riforma, Ostellari (Lega) ha detto all’Anm: “Ci lasci lavorare serenamente. Garantirò un esame attento del ddl, per il bene di tutti gli italiani, compresi i magistrati”. Si sente rassicurato?

Non sono tanto sereno, visto che la senatrice Bongiorno continua a sostenere che il testo vada modificato in una prospettiva, a nostro giudizio, peggiorativa per l’esercizio delle nostre funzioni. La Lega è tra i partiti che in maniera più evidente, anche per i toni usati e le modifiche sponsorizzate, immagina questa riforma come una sorta di rivincita della politica sulla magistratura. Però aspettiamo di vedere cosa accadrà nei prossimi giorni. Casomai ci ricrederemo. Comunque abbiamo spiegato più volte le criticità della riforma, e tengo ad aggiungere che in un confronto con l’avvocatura durante le assemblee organizzate a livello locale si è giunti a un’analisi condivisa.

Quale?

Abbiamo fatto comprendere che il magistrato burocrate ed efficientista, proposto dal riformatore, usando a questo scopo la leva del disciplinare e delle valutazioni di professionalità, rappresenta un pericolo per la qualità della giurisdizione, e quindi per la tutela efficace dei diritti. E a questo sono sensibili tutti i protagonisti della giurisdizione, compresi gli avvocati, perché sono in gioco gli interessi dei cittadini nel loro rapporto con il servizio giustizia che tutti abbiamo interesse a tutelare.

Ci fa sempre piacere quando avvocatura e magistratura sono unite a tutela della giurisdizione.

Anche io credo che un dialogo comune sia necessario, e infatti una delle critiche che abbiamo mosso come gruppo alla dirigenza dell’Anm ha riguardato proprio l’incapacità di costruire un confronto e delle sinergie con l’avvocatura.

Sullo sciopero, lei è stato l’unico a parlare di “fallimento”. Altri suoi colleghi, a partire dal presidente Santalucia, rifiutano l’idea di un flop. In un’intervista con la vicepresidente Maddalena è emersa l’urgenza di ricostruire l’unità. Ma come farlo, se non si riconoscono il fallimento e le sue cause?

Condivido la sua obiezione. Una classe dirigente responsabile, se vuole essere legittimata e autorevole, dovrebbe riconoscere gli errori che sono stati commessi e ammettere che lo sciopero è andato molto male. Ed è un vero peccato perché moltissimi non hanno scioperato, condividendo le ragioni dell’astensione ma non tempi e modi.

Penso che un’iniziativa organizzata meglio avrebbe consentito di andare sopra il 70%. Vi è stato un errore di valutazione iniziale che non è stato, badi bene, della dirigenza Anm ma delle dirigenze di AreaDg e Magistratura indipendente che hanno spinto molto sullo sciopero per pure ragioni elettorali. La magistratura è un po’ diversa da come loro la immaginavano.

Anche per questo non ho condiviso il documento di Area, dopo lo sciopero, in cui si è esaltata una divisione tra la magistratura bassa che avrebbe scioperato, al contrario di quella alta. In disparte la rozzezza dell’analisi, non è frazionando la magistratura e negando le responsabilità che si costruiscono prospettive proficue.

Come si ricostruisce l’unità?

Continuando a dialogare, come da noi proposto, dentro e fuori la magistratura, per costruire un discorso comune, a partire dai molti modi in cui si può fare questo lavoro.

Quello che è successo, prima della proclamazione dello sciopero, è molto importante: la magistratura più giovane si è ribellata al modello di magistrato burocrate che la riforma Cartabia propone. Si tratta di mettere in dialogo questa parte della magistratura con quella che, pur condividendo le ragioni della protesta, non ne ha accettato il metodo. Interrogarsi e confrontarsi sul ruolo costituzionale della magistratura, a tutela dei diritti, significa intrecciare una trama narrativa con cui affrontare i temi posti dalla modernità, coltivando le diverse sensibilità in una prospettiva unitaria.

Lei ha parlato di ragioni elettorali in vista del nuovo Csm. Discuterete di questo anche nel prossimo consiglio nazionale del 18 e 19 giugno. Risulta che correrete da soli e non sotto la bandiera di Area almeno per la quota dei giudici di merito, dove vigerà un sistema proporzionale. Si è detto che così si ufficializza il “divorzio” Md- Area. Ci spiega meglio?

Per usare la sua espressione: il “divorzio” da Area, o come lo chiamiamo noi “il recupero di autonomia rappresentativa di Md”, è stato deliberato sin dal congresso di Firenze dell’anno scorso. In continuità con quel mandato congressuale, tuttavia, noi abbiamo proposto ad Area un’alleanza generale per il prossimo Csm, fondata su un programma condiviso minimo - poiché su alcune cose ci dividiamo, ad esempio sul ruolo degli avvocati nei Consigli giudiziari - per le sole quote maggioritarie riservate a Cassazione e pm. Poi abbiamo proposto di convergere solo sul candidato per il posto di legittimità. Ipotesi tutte respinte.

Insomma, Area vi ha sbattuto la porta in faccia…

L’espressione è un po’ forte, ma sintetizza efficacemente quello che è successo! Ho grande rispetto per le loro scelte, ma questo non ci impedirà certo di coltivare le nostre idee e i nostri programmi con i candidati che si riconoscono in una magistratura progressista plurale e aperta al confronto.