«Kill the Bill!». Batte i pugni sul tavolo Elon Musk, dopo aver pompato nelle casse del partito repubblicano un flusso di 250 milioni di dollari durante la campagna elettorale, ed aver guidato il Doge nella più grande campagna di tagli della storia americana, prima di essere sollevato dal ruolo, si è ribellato alla legge di bilancio varata dall’amministrazione Trump, definita «un abominio» dal patron di Tesla, in un post ripreso nientemeno che da Bernie Sanders, rappresentante dell’ala più radicale del partito democratico, nella logica che il nemico del tuo nemico è tuo amico.

Ora il fiume di dollari infiltratosi nel partito repubblicano, allo stesso modo in cui l’acqua s’infiltra nelle fessure della roccia, potrebbe ghiacciarsi, come sembra essere successo all’amore di Musk per il partito dell’elefante, rischiando di frantumarlo. Il disegno della legge di bilancio, la «Big Beautiful Bill» come definita dallo stesso Trump, è stata approvata dalla Camera dei Rappresentanti lo scorso 21 maggio, con un solo voto di scarto. Il nuovo bilancio prevede la possibilità per il governo statunitense di prendere a prestito maggiori quantità di denaro, l’estensione delle agevolazioni fiscali, varate nel corso del primo mandato di Trump alla Casa Bianca, oltre all’introduzione di nuove agevolazioni promesse nel corso della campagna elettorale.

La legge permetterà l’aumento di 350 miliardi di dollari da utilizzare per la sicurezza delle frontiere, la sicurezza nazionale e le deportazioni. Il Congressional Budget Office, agenzia federale statunitense il cui compito è fornire dati economici al Congresso per la formulazione delle proposte legislative, primo fra tutti il bilancio federale, prevede che le politiche fiscali contenute nel disegno di legge determineranno un aumento di circa 3,8 miliardi di dollari del deficit federale e porterebbe ad un disavanzo di 2.4 trillioni di dollari nel giro di dieci anni, oltre a lasciare quasi 11 milioni di persone senza assistenza medica a causa dei tagli previsti al programma Medicaid.

Uno sfregio per l’uomo che pochi mesi fa brandiva la motosega dei tagli alla spesa pubblica, regalatagli dal presidente dell’Argentina, Javier Milei. Musk, noto giocatore di videogiochi, ha reagito allo stesso modo in cui avrebbe fatto se fosse stato eliminato poco prima di finire un livello difficile: è andato su tutte le furie, riversando la sua frustrazione in una serie di post su X, sfruttando così la leva offerta dai suoi 220 milioni di seguaci per fare pressione sui politici repubblicani e guardando già alle elezioni di mid term, previste per novembre 2026.

«Nel novembre del prossimo anno, licenziamo tutti i politici che hanno tradito il popolo americano», ha scritto in un primo post martedì sera, seguito da: «Chiama il tuo senatore. Chiama il tuo deputato. La bancarotta dell'America non è ok! KILL the BILL», pubblicato mercoledì sera.

Trump, dopo un iniziale silenzio, durante una conferenza stampa alla Casa Bianca si è detto sorpreso e deluso. «La legge è incredibile, è il più grande taglio alla spesa nella storia del nostro paese», ha detto Trump. «Parliamo di un taglio di circa 1.6 trillioni. Stiamo facendo cose incredibili se si guarda cosa stiamo facendo per le piccole imprese, per le persone, per la classe media. Elon è arrabbiato perché abbiamo tagliato gli incentivi per le auto elettriche, che rappresentavano un mucchio di soldi per loro, non se la stanno passando bene. Lo sapeva dall’inizio. Poi giustamente voleva, sapete ha raccomandato qualcuno che, penso, lui conoscesse bene. Sono sicuro che lo rispettasse. Per dirigere la Nasa. È venuto fuori che è un democratico, tipo, totalmente democratico. Allora ho detto, guarda, abbiamo vinto noi e abbiamo certi privilegi e uno di questi è che non dobbiamo nominare un democratico. La Nasa è molto importante. Non riesco a capire perché sia arrabbiato. Io ed Elon avevamo un ottimo rapporto. Non so se sarà ancora così».

Come indicato da Trump l’ira di Musk è legata più a ragioni d’interesse personale che per ragion di Stato o spirito di servizio. Le motivazioni che hanno aizzato il miliardario a scagliarsi contro la manovra sembrerebbero essere il taglio degli incentivi all’acquisto di automobili elettriche, di cui Tesla ha largamente giovato, taglio che arriva in un momento critico per la casa di automobili elettriche; il diniego, oppostogli dai funzionari del governo federale alla proroga del suo ruolo di impiegato governativo speciale alla guida del Doge; il rifiuto da parte della Federal Aviation Administration di utilizzare il sistema Starlink per il controllo del traffico aereo statunitense a causa del conflitto d’interessi; e in ultimo potrebbe esserci la mancata nomina a capo della Nasa di Jared Isaacman, imprenditore amico di Musk, che sembrava certa prima che il miliardario sudafricano lasciasse il suo ruolo all’interno dell’amministrazione Trump.

Nei giorni in cui ha dovuto fare gli scatoloni e lasciare il Doge, Musk aveva annunciato che «in termini di spesa politica, farò molto meno in futuro, penso di aver fatto abbastanza», per concentrarsi maggiormente sul ruolo di ceo di Tesla e SpaceX, lasciando però la porta aperta per un ritorno in politica, «se vedo una ragione per spendere per la politica in futuro, lo farò. Non vedo attualmente una ragione». Sia mai che, dopo i recenti screzi con il partito repubblicano, Musk faccia un’altra giravolta e torni a foraggiare il partito democratico. Improbabile ma non impossibile.