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epaselect epa11593231 Smoke rises following an Israeli airstrike in Khan Younis, southern Gaza Strip, 08 September 2024. More than 40,000 Palestinians and over 1,400 Israelis have been killed, according to the Palestinian Health Ministry and the Israel Defense Forces (IDF), since Hamas militants launched an attack against Israel from the Gaza Strip on 07 October 2023, and the Israeli operations in Gaza and the West Bank which followed it. EPA/HAITHAM IMAD
Sembrano inarrestabili e l’esercito israeliano una macchina di morte fuori controllo. L’ostinazione quotidiana con cui i militari colpiscono la popolazione di Gaza oltre a raggelare il mondo ci mostra la mutazione genetica avvenuta nelle forze armate dello Stato ebraico dove oggi spadroneggia la destra religiosa. Un’ “infiltrazione” in corso da almeno due decenni e che trova il suo compimento con l’avvento del governo estremista di Benjamin Netanyahu.
Negli ultimi vent’anni l’Idf ha vissuto una trasformazione strisciante ma profonda: attualmente quasi la metà degli ufficiali delle unità combattenti proviene dalla comunità dei cosiddetti sionisti religiosi, una porzione relativamente piccola della popolazione israeliana (appena il 12%), ma sovrarappresentata e sempre più centrale nelle forze armate dello Stato ebraico. Dopo la Seconda Intifada, migliaia di giovani formati nelle yeshivot pre-militari hanno cominciato a scalare le gerarchie dell’Idf Le yeshivot sono scuole religiose che preparano l’ingresso nell’esercito con un mix di educazione religiosa e addestramento ideologico e nel corso degli anni hanno moltiplicato la propria influenza.
Particolarmente significativi sono i programmi Hesder, che combinano il servizio militare con lo studio della Bibbia, creando ufficiali devoti, motivati e messianici. Un passaggio cruciale è stato il ritiro di Israele da Gaza nel 2005, quando il governo Sharon ordinò l’evacuazione di tutti gli insediamenti ebraici entrando in rotta di collisione con i coloni della Striscia. L'esercito, consapevole della crescente presenza di soldati religiosi nelle unità, evitò di impiegarli direttamente per lo sgombero, temendo casi di obiezione di coscienza o di ammutinamento. Già allora era chiaro che l’influenza dei sionisti religiosi non si limitava alla base, ma arrivava fino ai quadri intermedi.
Nel 2006, la nomina di Avichai Rontzki a capo della rabbineria militare ha segnato un’altra esplicita. Rontzki non si limita a fornire supporto spirituale: estende il suo mandato fino a creare un dipartimento di “consapevolezza ebraica” all’interno dell’Idf. La sua attività includeva la distribuzione di opuscoli religiosi ai soldati in cui si esaltavano le virtù teologiche della guerra. Malgrado lo scontro, ruvido, con gli ufficiali laici e moderati, l’apparato costruito da Rontzki è sopravvissuto alla sua uscita di scena, consolidando un’ideologia combattente ancorata al messianismo religioso, la stessa oggi incarnata dai ministri Gvir e Smotrich. La brigata Givati, una delle più attive nelle operazioni a Gaza e in Cisgiordania, è diventata un simbolo di questa trasformazione; il suo comandante Ofer Winter, nel 2014, inviò ai suoi soldati una lettera per spronarli a combattere «contro chi insulta il Dio d'Israele».
Secondo diverse inchieste condotte da Haaretz, The Guardian e MERIP (Middle East Report), oggi una quota compresa tra il 40% e il 50% degli ufficiali dell’esrcito di terra appartiene alla destra suprematista. La proporzione è ancora più sbilanciata nelle unità speciali e nelle accademie per diventare comandanti, dove la componente laica è in costante declino. E non è più un mistero l’auspicio che l’esercito contribuisca alla ricostruzione degli insediamenti ebraici nella Striscia e alla cacciata definitiva della popolazione araba.
«In quanto israeliano provo vergogna per quel che accade a Gaza non riconosco più l’Idf. La radicalizzazione religiosa ha trasformato l’esercito e i sionisti religiosi occupano ormai importanti posizioni di comando. Era il loro obiettivo, e ci sono riusciti», denuncia al Guardian Joël Carmel un ex soldato israeliano oggi attivista di Breaking the Silence, organizzazione fondata da veterani che raccoglie testimonianze sulle violazioni dei diritti umani commesse nei Territori.
Allo stesso tempo la Cisgiordania con l’espansione degli insediamenti favorita dal governo di “Bibi” è divenuta una fucina di combattenti: molti coloni, spesso provenienti dagli stessi ambienti delle yeshivot militari, sono entrati nelle fila dell’Idf o hanno stretto legami operativi con gli ufficiali amici. In alcune zone, come Huwara o Hebron, è diventato difficile distinguere l’azione dello Stato da quella di gruppi di coloni paramilitari che agiscono impuniti sotto l’occhio pigri dei soldati. In ambienti laici, soprattutto all’interno delle agenzie di sicurezza, di intelligence e tra gli ufficiali più anziani, si teme un indebolimento della stessa coesione nazionale. Se l’esercito diventa un’istituzione religiosa come reagiranno le minoranze o i cittadini arabi israeliani di fronte a un apparato percepito sempre più come ostile?
La progressiva “colonizzazione” religiosa delle forze armate è lo specchio distorto della trasformazione dello Stato: da nazione fondata su un patto laico tra socialismo egualitario, diritti e sicurezza, a entità animata da visioni identitarie, confessionali e nazionaliste.