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President Donald Trump listens during a meeting with Bahrain's Crown Prince Salman bin Hamad Al Khalifa in the Oval Office of the White House, Wednesday, July 16, 2025, in Washington. (AP Photo/Alex Brandon)
Nel 2025, Donald Trump è di nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, e il mondo politico e istituzionale non può più permettersi di osservare la sua azione come un’anomalia da studiare. È tornato, non per correggere il passato, ma per regolare i conti col passato. E questo elemento — umano, psicologico e politico — è oggi il tratto più inquietante della sua presidenza-bis. La vendetta come dottrina – (riflessione in chiave morotea) Se Aldo Moro fosse oggi tra noi, direbbe che la democrazia vive nel limite, nella misura, nella pluralità che accetta l’altro come interlocutore, non come nemico. Ma nella seconda presidenza Trump, il limite è scomparso.
L’attuale azione politica del Presidente appare segnata da una logica vendicativa sistematica: contro i giudici, contro i media, contro gli avversari politici, e in certi casi, persino contro chi, nel suo stesso partito, non ha condiviso i toni o gli eccessi del passato. La politica, per Trump, è guerra permanente. E nella guerra, non c’è tempo per ascoltare né per mediare. C’è solo da colpire. Questa torsione rischia di erodere il senso stesso delle istituzioni, facendo apparire ogni atto di governo come una rappresaglia o una rivincita personale. L’apparente forza che nasconde una profonda fragilità – (sguardo andreottiano). Da osservatore pragmatico, Giulio Andreotti avrebbe riconosciuto l'efficacia comunicativa di Trump, la sua capacità di accreditarsi come risolutore, come uomo forte in tempi di debolezza collettiva. Sul piano estero, Trump 2025 ha rilanciato la linea dura con la Cina, ha indebolito i vincoli con la NATO, ha raffreddato le relazioni con l’Europa e ha ripreso un dialogo ambiguo con Mosca. Il mondo multipolare lo affascina, purché sia lui a dettare le condizioni. Eppure, dietro questa apparente fermezza, si intravede una fragilità sistemica. L’amministrazione Trump vive nel sospetto, nella sostituzione costante dei collaboratori, nel culto dell’obbedienza assoluta. È il potere che si chiude in se stesso, incapace di delegare, ossessionato dalla lealtà, allergico alla competenza.
Andreotti avrebbe detto: «Quando tutti ti applaudono, non vuol dire che stai governando bene. A volte significa solo che hanno paura». Da uomo di potere abituato alle lotte interne e alle ferite profonde, Craxi avrebbe visto in Trump 2025 un uomo solo, consumato da una battaglia che non distingue più tra interesse personale e interesse nazionale. La sua seconda presidenza è un gigantesco tribunale politico, dove il Presidente giudica, assolve e condanna, spesso fuori dalle regole che egli stesso ha giurato di rispettare.
Il suo rapporto con la stampa, con le procure, con le istituzioni internazionali è quello di chi non cerca legittimazione, ma rivalsa. Craxi forse avrebbe avuto per Trump una certa empatia per le aggressioni subite, ma anche una critica severa per l’uso del potere come strumento di demolizione e rivincita personale. Un capo di Stato non può governare con l’ossessione della ritorsione.
Il rischio di uno strappo definitivo. La seconda presidenza Trump non è solo un ritorno, è un esperimento politico inedito e pericoloso: quello in cui un Presidente governa come se fosse ancora in campagna elettorale, e la realtà si piega alla narrazione. Il punto non è più se Trump dividerà l’America: lo ha già fatto. Il vero interrogativo è: riuscirà l’America a non implodere sotto il peso del suo leader?
Donald Trump, nel 2025, non è un errore della storia, ma il sintomo di una democrazia affaticata, impaurita e priva di anticorpi forti. Eppure, nella forza apparente di questo ritorno, si cela la fragilità di un sistema che non riesce più a distinguere tra potere e abuso, tra legittimazione e sopraffazione. È tempo che l’Europa, e anche l’Italia, guardino con lucidità a ciò che sta accadendo: perché le ombre della storia, quando ritornano, non bussano alla porta. Entrano direttamente.