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«Ségolène Royal? Ha un solo difetto: il suo fidanzato». L'irriverente battuta fu pronunciata da Arnaud Montebourg durante la campagna presidenziale del 2007 (quella del trionfo di Sarkozy) e gli costò la sospensione per una settimana dalla carica di portavoce della candidata socialista che, per l'appunto, era proprio madame Royal, all'epoca compagna (ma ancora per poco) di François Hollande. Montebourg non ha mai amato Hollande, che proprio ieri ha annunciato di ritirarsi. Troppo diversi, quasi incompatibili, politicamente e caratterialmente: tanto irruento e passionale il primo, quanto algido e calcolatore il secondo. Quando nel 2014 si dimise da ministro dell'Economia in aperta polemica con le politiche di austerità del presidente e dl suo premier Emmanuel Valls aveva l'aria entusiasta di un galeotto appena evaso di prigione: «Ho ritrovato la mia libertà, me ne torno a lavorare per la Francia». Ora Montebourg lancia il guanto di sfida a tutti gli aspiranti candidati alla presidenza, ma ha campo libero da parte del suo principale avversario Hollande. Nel ricco lotto dei "perdenti perfetti", dei sinistrati della galassia Ps è il primo ad aver presentato ufficialmente la sua candidatura alle primarie di gennaio con lo slogan non proprio originale "Liberare i francesi", ma con l'idea fissa di riportare il partito nell'alveo della gauche. E di invertire un copione che pare già scritto che prevede la destra-destra di Fillon e l'ultradestra di Marine Le Pen affrontarsi al ballottaggio presidenziale di primavera. Il suo programma è tipicamente socialdemocratico o keynesiano se si preferisce: rilancio della domanda attraverso l'aumento del potere d'acquisto, investimenti pubblici per 20 miliardi di euro, diminuzione della pressione fiscale sulle famiglie meno abbienti, riduzione dei vincoli economici imposti dalla Bce, creazione di un'«agenzia per la tutela degli agricoltori», elezione a suffraggio universale di un «commissario speciale contro la disoccupazione in ogni regione», istituzione di un «microcredito universale», introduzione dell'equo canone per gli affitti. Nelle sue convinzioni "sovraniste" Montebourg si presenta come uno strenuo difensore del "made in France", del sistema industriale nazionale, ferito dai colpi di sciabola della globalizzazione e dal dumping economico, ma anche della sua vocazione repubblicana per la quale vorrebbe reintrodurre il servizio di leva obbligatorio: «Seguo ancora l'idea del cittadino soldato della Rivoluzione del 1789». Parlando ai fedelissimi dall'interno di una péniche lungo la Senna, Montebourg ha attaccato Hollande il quale, come scriveva ieri il quotidiano Le Parisien, avrebbe avuto in mente di bypassare le primarie e candidarsi lo stesso, una sorta di prerogativa presidenziale nello spirito autoritario della Quinta Repubblica. Ma questa ipotesi è ormai caduta. Tra i chiodi fissi del candidato socialista c'è proprio la revisione costituzione della Quinta Répubblica, la carta voluta da De Gaulle nel 1958 che tratteggia il presidenzialismo alla francese e che Mitterrand definiva «un colpo di Stato permanente», salvo poi approfittarsene per due lunghi settennati. È da almeno 20 anni che Montebourg ha lanciato i comitati per la "Sesta Repubblica", poco più di una suggestione, ma difesa con estrema tenacia in ogni dibattito pubblico. La strategia delle alleanze di Montebourg si ispira al governo della sinistra plurale di Lionel Jospin che nella seconda metà degli anni 90 riunì in un solo cartello socialisti, comunisti e verdi. L'obiettivo principale di questa strategia è corteggiare Front de Gauche di Jean Luc Mélenchon (accreditato del 12% delle intenzioni di voto) con il quale vorrebbe stringere un'alleanza organica: «È il mio karma, la mia ostinazione spirituale, voglio unire gli uomini, le donne e le anime». Per il momento Arnoud Montebourg deve riuscire a unire un partito a pezzi, una missione impossibile di quelle che l'hanno sempre intrigato.