*AVVOCATO, DIRETTORE ISPEG

Tornano a far parlare di loro le temibili misure di prevenzione patrimoniali, la cui applicazione ha trovato, man mano, un significativo raggio di estensione nella disciplina antimafia. A distanza di quasi due mesi dall’ultimo intervento dello scrivente sul tema (riflessione sulle conseguenze derivanti dalla pronuncia di improcedibilità dell’azione penale e suoi effetti preclusivi e/ o di valore di “giudicato” - nel procedimento di prevenzione), poco più di una settimana fa le Sezioni Unite sono intervenute per dirimere il contrasto creatosi in ordine ai presupposti in base ai quali il sottoposto o i terzi, aventi diritto sul bene, possono chiedere la riparazione dell'errore giudiziario costituito dalla confisca illegittimamente disposta.

Il Supremo Consesso, con un revirement che lascia sgomenti, ha ritenuto che in tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è diventata definitiva; non lo è, invece, quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore».

Sebbene ad una prima lettura non parrebbero esserci differenze dall’istituto della revisione processuale, che, in effetti, contempla la possibilità di sovvertire un giudicato nel merito quando dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono prove nuove, è proprio sul concetto di “novità” che le Sezioni Unite si concentrano: discostandosi dal rimedio processual-penalistico della revisione (aderendo a quell’orientamento che, ancora oggi, si ostina a ritenere la confisca di prevenzione non già come una pena bensì come uno strumento civilistico di carattere restitutorio), al fine di caducare il giudicato di prevenzione, adotta i canoni del rimedio processual- civilistico della revocazione, già prevista dal Codice Antimafia (sottoposta peraltro ad un termine di decadenza, a differenza che per la revisione).

Una pronuncia, quella della Sezioni Unite, che sembra del tutto sbilanciata rispetto la tutela - mai banale, certamente - della collettività in rapporto alla tutela del singolo, sia come diritto di difesa sia soprattutto come diritto alla proprietà privata. È evidente, infatti, come, tra le righe della pronuncia in esame, vi sia una qualche forma di preferenza verso la tutela della stabilità dei beni anche solo provvisoriamente sottoposti a misura ablatoria patrimoniale rispetto al diritto e alla possibilità del singolo di vedersi restituiti, un domani, all’esito di un complesso procedimento di prevenzione, i beni ingiustamente confiscati. Che danno si verificherebbe a un ente se gli venisse prima affidato un immobile confiscato da destinare alla collettività e poi, quello stesso immobile, dovesse essere restituito, a seguito di un positivo giudizio di “riparazione” dell’errore giudiziario, al legittimo - proprietario? Questo il ragionamento che pare aver animato la decisione della Corte.

A tali conclusioni si giunge ancor più facilmente se solo si considera, facendo un paragone con la disciplina della revisione, che mentre per quest’ultima sono ammissibili anche prove che erano già esistenti ma che non sono state acquisite oppure acquisite ma non valutate o ancora non prodotte per negligenza - ad esempio - del difensore, per la revoca di un provvedimento definitivo di confisca di prevenzione le prove ontologicamente ' nuove' consisterebbero - secondo l’interpretazione data dalla Corte esclusivamente in quelle sopravvenute al provvedimento ablatorio definitivo o quelle preesistenti, ma incolpevolmente non conosciute.

Andrebbero quindi escluse quelle preesistenti, che non siano state dedotte dalla parte a meno che non ne venga dimostrata l'indeducibilità a causa di forza maggiore. Se ne trae, in definitiva, una pronuncia, a tratti, “funzionalmente” orientata che, tuttavia, lo si crede con forza, è figlia del suo stesso male: le misure di prevenzione, introdotte in un periodo storico particolare, in un settore e con destinatari originali circoscritti, per via della “semplicità” con cui si possono disporre, hanno assunto sempre più la veste di una anticipazione di una equivalente (quanto agli effetti ablatori) misura cautelare reale, quando non già di una sentenza di condanna.