«Così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti». La celebre frase dell’ex presidente messicano Porfirio Díaz riassume meglio di ogni altra la posizione geopolitica del Messico: un Paese apparentemente ai margini, ma in realtà epicentro di trame segrete e crisi diplomatiche che hanno attraversato oltre un secolo di storia mondiale. Da campo d’azione per i servizi segreti europei ai giorni nostri, segnati dallo scandalo Pegasus, il Messico è stato terreno di interferenze, operazioni coperte e manipolazioni politiche che ne hanno definito un ruolo cruciale nello scacchiere internazionale.

Dal telegramma di Zimmermann all’omicidio Trotsky

Nel 1917, durante la Prima guerra mondiale, il celebre telegramma di Zimmermann cambiò la storia: Berlino propose a Città del Messico un’alleanza contro gli Stati Uniti, promettendo in cambio Texas, Nuovo Messico e Arizona. L’intercettazione britannica e la pubblicazione del documento spinsero l’opinione pubblica americana verso l’entrata in guerra. Pochi anni dopo, durante la Seconda guerra mondiale, lo spionaggio tedesco organizzò l’Operazione Bolivar, una rete d’intelligence in America Latina che coinvolse anche il Messico. Il piano fallì, ma consolidò l’immagine del Paese come crocevia di potenze in conflitto. Il 1940 fu l’anno dell’omicidio di Lev Trotsky, ucciso a Coyoacán per mano dell’agente sovietico Ramón Mercader, su ordine dell’NKVD. L’episodio divenne un simbolo della lunga mano di Stalin anche oltre i confini europei.

Dalla Guerra fredda alle operazioni coperte USA

Negli anni Sessanta emerse Litempo, un programma segreto della CIA che contava informatori ai vertici del potere politico messicano. Il Paese divenne così un baluardo informale del contenimento americano, teatro di scambi riservati e pressioni incrociate. L’amministrazione Nixon, nel 1969, varò l’Operazione Intercept, chiudendo il confine per bloccare l’importazione di marijuana messicana: un atto di forza con pesanti ripercussioni diplomatiche. A distanza di decenni, lo scandalo “Fast and Furious” (2006-2011) riportò alla ribalta i rapporti tra Washington e Città del Messico: operazioni di “gun walking” ideate dall’ATF statunitense per risalire ai cartelli finìrono fuori controllo, alimentando la spirale della violenza armata.

Negli anni Duemila il caso “House of Death” scosse i rapporti bilaterali: un informatore americano partecipò a omicidi del cartello di Ciudad Juárez, aprendo una delle pagine più oscure della cooperazione di frontiera. Poi fu la volta della sorveglianza digitale. Dalle rivelazioni di Edward Snowden nel 2013, che documentarono lo spionaggio della NSA sull’ex presidente Felipe Calderón, fino al caso Pegasus, il software israeliano usato per intercettare giornalisti e attivisti. Nel 2018, il nome del Messico ricomparve nei dossier su Cambridge Analytica, accusata di aver tentato di influenzare le elezioni con operazioni di manipolazione dei dati. Oggi, come ieri, il Messico continua a muoversi su un terreno instabile: alleato e sorvegliato, osservatore e protagonista, tra Washington e l’America Latina.