Il “patto d’acciaio” con le grandi famiglie industriali italiane ( Agnelli, Pirelli, Falk); i legami con la politica e la Dc. Per oltre mezzo secolo Mediobanca, la creatura di Enrico Cuccia, è stata l’architrave del capitalismo finanziario italiano.

Mediobanca è l’istituzione finanziaria che ha scritto la storia del capitalismo italiano dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni Novanta. Mediobanca, la Banca di Credito Finanziaria, e il suo patron, Enrico Cuccia, sono stati il dominus del sistema economico italiano dal 1946 fino al 1993. Hanno avuto una funzione affine a quella della Democrazia Cristiana nel mondo politico nazionale dal 1968 al 1992. Mediobanca e Dc erano al centro dei sistemi, di quello economico e di quello politico. Governavano, mediavano, innovavano. La coincidenza della leadership politica democristiana e della guida di Mediobanca negli affari del capitalismo nazionale probabilmente non sono del tutto casuali.

Mediobanca, fin dalla fine del conflitto mondiale, è stato un istituto di credito molto particolare: era la più importante banca di investimento per le imprese capitalistiche private, pur essendo con un controllo azionario in larghissima parte nelle mani di banche pubbliche. Enrico Cuccia, il suo direttore generale prima, amministratore delegato poi, presidente onorario infine, la diresse con mano fermissima e sempre indipendente dal potere politico.

Due sono le date chiave per Mediobanca: il 1946, l’anno della sua fondazione, e il 1993, l’anno della grande trasformazione del sistema bancario italiano grazie al “testo unico Amato”.. L’Italia è appena uscita dalla terribile prova del conflitto mondiale. Le sua economia è distrutta dalla guerra, la sua industria è da ricostruire o comunque da rinnovare profondamente. Le forze alleate occupano il paese, nazione sconfitta nonostante la Resistenza e i governi del Comitato di Liberazione Nazionale che ne hanno riscattato l’onore ma che non hanno potuto ovviamente riscrivere la storia dell’alleanza del fascismo di Mussolini con il nazismo di Adolf Hitler. Le condizioni sono tragiche.

Tra il 1944 e il 1946, Raffaele Mattioli, grande figura del mondo bancario nazionale, nonchè grande mecenate della cultura politica democratica nonostante il regime fascista ( Mattioli contribuì a mettere in salvo i saggi e i libri del grande economista Piero Sraffa; contribuì alle cure di Antonio Gramsci e il servizio studi della ‘ sua’ Banca Commerciale era la covata di personalità di prestigio come Ugo La Malfa e Giovanni Malagodi), ebbe una intuizione che gli storici definiscono ‘ felice’: il mercato creditizio nazionale aveva un vuoto enorme.

Non c’era in Italia nessun istituto importante che finanziasse i progetti di investimenti e di crescita delle grandi imprese private. Le BIN, Banche di interesse nazionale, ovvero Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banca di Roma, e le realtà locali svolgevano compiti di “banca commerciale”, senza alcuna proiezione nel campo del credito mobiliare. C’era l’IMI, Istituto mobiliare italiano, ma il suo spettro di attività era molto limitato. Lo stesso succedeva agli altri istituti di credito speciale.

Le imprese italiane non avevano di fatto alcun sostegno reale del sistema creditizio per progetti particolarmente impegnativi. Era dunque necessario creare una nuova realtà: Mediobanca. Le perplessità e le obiezioni rispetto a questa intuizione di Mattioli non erano nè pochè nè di poco conto. Luigi Einaudi, governatore della Banca d’Italia e futuro Presidente della Repubblica, non era del tutto d’accordo, ma Mattioli era un tipo tenace e convinse anche molti scettici come il governatore.

Le resistenze al progetto Mediobanca nascevano dalla legge bancaria del 1936, il capolavoro in campo creditizio di Alberto Beneduce e di Donato Menichella, altre figure di eccezionale spessore nel capitalismo nazionale. La legge del 1936 fu fino al 1993 l’architrave della regolazione dell’attività creditizia. Essa, tra le altre cose, stabiliva una rigorosa separazione fra l’azione della banche commerciali di carattere ordinario che poi sono le normalissime banche di risparmio di noi piccoli risparmiatori, e le banche di investimento, quelle utili alle imprese e agli investimenti.

Definiva la fine di ciò che veniva chiamata la “banca mista”, che invece svolgeva entrambe le attività e che era andata a gambe all’aria nel nostro paese con la grande crisi del 1929. Le banche di allora avevano in pancia abbondanti pacchetti azionari di imprese e gruppi industriali, e fornivano copiose risorse a costoro. Quando la crisi economica li travolse, le banche furono travolte con loro e rischiò di essere devastata l’intera attività di risparmio nazionale. Per proteggere quel risparmio nazionale ed evitare il “contagio” delle crisi dall’ambito industriale a quello bancario, su ispirazione del creatore dell’IRI, Alberto Beneduce, fu stabilita la separazione rigida fra le due grandi attività del credito. E furono nazionalizzate le tre grandi banche, Commerciale, Credito e BancaRoma, che divennero le BIN, Banche di interesse nazionale.

Mediobanca sarebbe stato un istituto basato sul controllo azionario in particolare delle tre BIN ovvero delle tre grandi banche nazionali di carattere commerciale, e avrebbe avuto come statuto il compito di finanziare gli investimenti e i progetti di lungo periodo delle imprese. Avrebbe potuto superare lo steccato rigido istituito dalla legge bancaria: i critici e i contestatori dell’intuizione di Mattioli quindi temevano che si sarebbe rischiato di far rientrare dalla finestra quello che era stato buttato fuori dalla porta, la ‘ banca mista’ e la commistione fra attività ordinarie e mobiliari.

In realtà ciò non accadde. Mediobanca assunse un ruolo centrale e fondamentale nel sistema capitalistico italiano, nonostante la sua natura di istituto a fortissima presenza pubblica ( Banca Commerciale aveva una quota del 35 per cento, Credito Italiano un’altro 35 per cento, Banca di Roma il 30 per cento) e non confuse mai attività ordinarie con quelle mobiliari.

Mediobanca finanziava le sue attività in particolare con l’emissione di propri certificati di deposito bancari a scadenza vincolata che venivano collocati sostanzialmente presso gli sportelli delle banche di interesse nazionale. Con quelle risorse l’istituto di Enrico Cuccia divenne il protagonista assoluto del panorama imprenditoriale italiano.

Ciò è chiarissimo se si guarda al secondo strumento della sua “egemonia”, le sue partecipazioni decisive nel capitale azionario dei grandi gruppi italiani. Per capire di che cosa stiamo parlando leggiamo in momento le sue partecipazioni ne 1982. A quella data Mediobanca aveva in pancia quote del 18 per cento in Montedison, il colosso chimico privato nazionale; del 12,66 per cento in Gemina, importan- tissima società finanziaria che ha avuto a lungo il controllo del gruppo Rizzoli- Corriere della Sera; del 12 per cento in Pirelli, la grande imprese del settore dei pneumatici; dell’ 11 per cento in Snia Viscosa, altra importante impresa chimica; del 10 per cento in Fondiaria, grande società assicurativa fiorentina; del 5,4 per cento in Falck, colosso della siderurgia; del 5 per cento delle Assicurazioni Generali, un grande gruppo assicurativo di livello europeo; del 4 per cento della SME, del 3 per cento della FIAT e del 2 per cento della Olivetti.

Con queste quote ancorchè non maggioritarie Mediobanca di fatto partecipava al controllo dei rispettivi gruppi sostenendo le famiglie proprietarie: Mediobanca e famiglie storiche del capitalismo italiano, gli Agnelli, i Pirelli, i Falck, avevano stretto un patto di ferro che comportava il controllo garantito di quelle famiglie in cambio di progetti di crescita e di investimento su cui si stendeva la mano di Enrico Cuccia.

Il peso di Mediobanca in FIAT, in momenti cruciali per il cambiamento della grande azienda automobilistica nazionale ha significato ad esempio il lungo periodo di leadership di Cesare Romiti o l’affare libico, l’entrata della Libyan Arab Foreign Bank nella proprietà Fiat per finanziarla in un momento molto particolare della vita imprenditoriale. L’ascesa di Cesare Romiti e l’entrata in campo di M. Gheddafi sono stati due capolavori di Mediobanca, comunque li si voglia considerare dal punto di vista storico. E dal punto di vista della classe operaia.

Ma Mediobanca in realtà ha potuto avere il ruolo centrale e dominante che ha avuto, è riuscita ad essere una istituzione controllata da grandi banche pubbliche senza alcuna interferenza statale, grazia ad una figura storica, Enrico Cuccia, l’erede di Raffaele Mattioli.

Mattioli fu dal 1933 al 1972 fu ai vertici della Comit, la Banca Commerciale Italiana, o come direttore generale o come amministratore delegato. Fu definito il ‘ banchiere umanista’ per la sua grande cultura e fu al centro di moltissime attività politiche democratiche anche durante il regime fascista, pur avendo ovviamente rapporti con Mussolini. Mattioli fu il banchiere privato che sostenne Enrico Mattei alla presidenza dell’ENI. Enrico Cuccia è in qualche modo l’erede o il compagno di azione del banchiere della Comit. Fu fin dall’inizio, fin dal 1946, il dominus di Mediobanca. Aveva avuto precedentemente esperienze in Banca d’Italia, aveva sposato la figlia di Alberto Beneduce, Idea Socialista ( si chiamava così…..) e aveva svolte altre attività per l’amministrazione dello Stato italiano durante il regime fascista.

Nel 1936 Cuccia svolse una delicatissima missione in Africa Orientale per conto dell’amministrazione degli Scambi e delle Valute su un presunto traffico illecito di funzionari del maresciallo Rodolfo Graziani. Il 1 luglio del 1937 fu ricevuto dal capo del governo Mussolini per riferire di quei traffici. Durante la seconda guerra mondiale, fu vicinissimo agli ambienti della Resistenza e si narra che fu latore di un messaggio importante di leader antifascisti, Ugo La Malfa, Carlo Sforza, all’ambasciatore americano George Kennan ( il grandissimo diplomatico e teorico del ‘ contenimento’ strategico, il pilastro della vittoriosa ‘ grande strategia’ americana verso l’Unione Sovietica). Nel novembre del 1944 fu membro della delegazione italiana che andò a Washington per chiedere aiuti per la ricostruzione: oltre Cuccia ne facevano parte Mattioli e l’ambasciatore Egidio Ortona. Insomma fin dall’inizio Enrico Cuccia fece parte di quel mondo bancario ‘ laico’ che ha avuto un grandissimo ruolo nella crescita e nella modernizzazione europea del nostro paese. La Comit era il centro di quel mondo, con Raffaele Mattioli al timone, poi c’erano Adolfo Tito, Ugo La Malfa, Enrico Cuccia e tanti altri banchieri, uomini politici e di governo, intellettuali repubblicani, liberali, democratici. E’ questo mondo che ha inventato l’idea di una Italia attaccata all’Europa per evitare di essere risucchiata nelle infide acque politiche del Levante e del Mediterraneo. E’ questo mondo che ha fermamente portato avanti per primo il progetto europeo, con l’adesione del nostro paese al Mercato Comune, nonostante le opposizioni di forti interessi industriali, la ‘ destra economica’, protezionistici e conservatori. E’ questo mondo che ha sempre cercato di tenere attaccato il nostro paese ai ‘ valori’ atlantici ed europeistici. Un esempio importante di questo legame ‘ atlantico’ ed europeo del nostro paese è costituito dal rapporto strettissimo fra Mediobanca e una influente istituzioni finanziaria mondiale, Lazard Freres, la banca d’affari di Andre Meyer e di Felix Rohatyn, una banca a metà tra Parigi e New York, simbolo vivente di quei legami.

Tutto cambiò nel 1993, un anno dopo Mani Pulite, quando fu varato il ‘ testo unico’ della riforma bancaria, con il quale venne recepita una direttiva comunitaria europea: le banche potevano diventare ‘ banche universali’. La separazione della legge del 1936 e che peraltro faceva parte degli ordinamenti economici più avanzati ( come il Glass- Steagall Act, abolito poi dal Congresso repubblicano e dal presidente democratico Bill Clinton nel 1999) fu quindi abolita. Ciò colpì il cuore il ruolo di fatto monopolistico di Mediobanca nell’intermediazione mobilitare. Mediobanca ha dovuto cambiare ragion d’essere e assetto di controllo: fu avviata la sua privatizzazione. Allora finì il ‘ sistema Mediobanca’ come lo avevamo conosciuto con Raffaele Mattioli e Enrico Cuccia. Certamente la riforma bancaria del 1993 ha modernizzato il nostro paese, almeno nel contesto internazionale di allora.

Ma allora avvenne, probabilmente, un fatto importante, decisivo per il nostro paese: avvenne la ‘ rottura’ nel mondo bancario e intellettuale ‘ laico’. Fino ad allora quel mondo aveva sostenuto sostanzialmente unito per nella diversità di opinioni battaglie importantissime per la difesa della Banca d’Italia, per la modernizzazione del nostro paese, per la sua identità europea. Da allora invece le strade si sono divise e sono nate fratture profonde, come quella attorno alle privatizzazioni e quella sull’adesione del nostro paese alla moneta unica europea. Ciò ha certamente contribuito alla crisi di classe dirigente che attraversa l’Italia.