«La risposta alla sfida migratoria avrà successo soltanto se sorretta da criteri di solidarietà all’interno dell’Unione europea». Pausa: «… e di coesione nella risposta esterna». Sergio Mattarella è a Maastricht, e in un lungo discorso che ripercorre tutta la storia dell’Unione interviene come di striscio sulla questione migratoria deflagrata in Italia. Spiega anche che le nostre prospettive di crescita dipenderanno da come verranno trattati i Paesi africani - «Paesi di origine e di transito dei migranti» - che sono ricchissimi di materie prime ed energetiche. È in Olanda, il presidente della Repubblica, in una visita ufficiale strategica, che ha l’evidente fine di cercare di smussare il consueto rigorismo olandese, che rischia di manifestarsi in tutta la sua ostilità quando di qui a poco si tratterà di rivedere le regole di quel Patto di Stabilità che proprio da Maastricht prende il nome, e che è stato sospeso causa Covid. Se non venisse riformato - ovvero se al Consiglio europeo non passasse la proposta che per la Commissione ha elaborato anzitutto Paolo Gentiloni - potrebbe mandare ancora una volta l’Italia dietro la lavagna. Per questo Mattarella ha incontrato il premier Mark Rütte, per questo gli ha ricordato che anche l’Olanda è uno dei paesi fondatori della Ue, e quali responsabilità questo comporti.

Ma mentre Mattarella è in Olanda, a Roma il governo precipita sin sulla soglia delle rottura con Parigi, e a cascata col resto della Ue. E per un caso ben più grave di quello famoso dei gilet jaunes ai quali aveva dato il suo gradimento, ai tempi in cui era azionista di maggioranza di Palazzo Chigi, il ministro Luigi di Maio. Allora, Parigi richiamó in patria il suo ambasciatore, e il Quirinale impiegò mesi di sottile ricucitura, trionfalmente approdata in quello che non a caso si chiama Trattato del Quirinale: quindici cartelle che stringono i rapporti tra Italia e Francia, sulla falsariga del pluriennale accordo che lega Francia e Germania. Sostanzialmente un ancoraggio forte dell’Italia alla pattuglia di testa nello scenario europeo. E poi sempre il Quirinale aveva ottenuto per Giorgia Meloni l’incontro informale ( un one- to- one di quasi un’ora) quando Macron è arrivato a Roma, invitato dalla Comunità di Sant’Egidio.

Ma appunto, mentre il presidente tesse la tela in Olanda, a Roma si lacera il tessuto delle relazioni con la Francia. E Mattarella dall’Olanda parla erga omnes, sull’immigrazione serve solidarietà tra tutti i Paesi. Ma parla anche perché suocera intenda: «Serve coesione nella risposta interna».

Perché a Roma è successo che mentre Palazzo Chigi annunciava che la Francia aveva accettato di far attraccare la nave Ocean Viking che il Viminale aveva lasciato in mare per due settimane con il suo carico di umanità dolente, il ministro e vicepremier Matteo Salvini rilasciava commenti come se il governo italiano avesse spezzato le reni alla Francia. Simmetricamente la sua sodale francese Marine Le Pen attaccava Macron.

Le ricostruzioni parlano anche di malintesi forse intercorsi nella telefonata tra il ministro dell’Interno italiano Piantedosi e il suo omologo di Parigi, si ipotizzano fraintendimenti nel colloquio tra Meloni e Macron alla Cop27 di Sharm- el- Sheik. Quello che è certo è ciò che è pubblico: la Francia che annuncia «conseguenze gravissime», e che mentre onora l’impegno preso a far attraccare a Tolone la Ocean Viking ( rendendo pubbliche foto di un’accoglienza e un salvataggio in grande stile) annuncia l’interruzione dell’accordo sulla redistribuzione dei migranti, e invita ufficialmente gli altri Paesi UE a fare lo stesso. Perché? Perché «l’Italia non rispetta gli accordi presi».

Il guaio è che la Francia ha ragione. Le leggi del mare obbligano a salvare e a fornire approdo nel porto più vicino e sicuro ai naufraghi. E le imbarcazioni di migranti, nonostante quello che sostiene pubblicamente la premier, lo sono: l’Italia lo sa benissimo, tanto che miriadi di imbarcazioni ( anche piccolissime) di migranti vengono soccorse in mare da altre imbarcazioni, comprese Guardia Costiera e Finanza. Si tratta dell’ 86 per cento circa del totale di boat- people che approdano in Italia, senza alcun contrasto o polemica: trattamenti riservati solo ai navigli delle Ong, che sono solo il 14 per cento.

Il punto su cui poggia la grave accusa all’Italia di non onorare i suoi impegni, sta nella decisione di non far sbarcare i 340 della Ocean Viking, imponendole di far rotta verso la Francia. Quando invece gli accordi presi dal governo Draghi al Consiglio Europeo del giugno scorso prevedono la redistribuzione tra vari Paesi - non obbligatoria, ma volontaria- dei richiedenti asilo. Ma questo richiede lo sbarco e l’identificazione, per quanto possibile, dei migranti. È come se il compromesso intergovernativo intervenuto in quel vertice tra Capi di Stato e di Governo sia stato di fatto disdettato dall’Italia. E sì che Draghi ci aveva lavorato di buona lena, a più riprese, quasi quanto per il price cap del gas… Era stato, quello, un compromesso arduo, perché è dal 2015 che i Paesi del gruppo di Visegrad ( Ungheria e Polonia in testa) ai quali tanto si è ispirata sin qui la premier Meloni hanno sempre rigettato non solo la condivisione dei problemi dell’immigrazione, ma anche ogni revisione del Trattato di Dublino III che di fatto ancora impone che l’accoglienza avvenga nel Paese di primo approdo ( accordo sottoscritto dal governo Berlusconi nel 2003).

A breve Mattarella rientrerà a Roma. E dovrà ricominciare la tessitura. Non sarà facile perché non si tratta di un’infrazione protocollare, ma della pesantissima accusa di non rispettare i patti. A Palazzo Chigi al momento non sembra si voglia correggere il tiro: Meloni ha anzi rispedito le accuse al mittente conn un certo piglio.

E per l’Italia - e per il governo - il rischi sono pesantissimi. Per ora Meloni ha ricevuto i 21 miliardi di fondi Ue Recovery accordati a luglio a Draghi da Bruxelles, e verrà presto varata la Legge di Bilancio lasciata già predisposta da Draghi. Ma ogni altra mossa, dai prossimi fondi fino alla correzione del Pnrr e a eventuali scostamenti di bilancio, è dall’Europa che devono passare. Per non dire della riforma del Patto di Stabilità. Meloni aveva avuto una apertura di credito con Bruxelles e le cancellerie europee, cosa eccezionale dato il profilo politico sovranista del suo governo, e la campagna elettorale che aveva svolto. Potrebbe essersi giocata tutto in questi giorni. Dando corda ai nemici dell’Italia. Che non sono certo pochi.