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Forse la colpa non è di Sergio Mattarella ma di quanti si aspettavano troppo da lui sottovalutando le difficoltà istituzionali nelle quali si è trovato o sopravvalutando, come si preferisce, lo spazio di manovra che ha in certe circostanze il presidente della Repubblica. Tuttavia mi è rimasto un po’, anzi un bel po’ di amaro in bocca ascoltandone il messaggio televisivo a reti unificate per gli auguri di buon anno “alle concittadine e ai concittadini”, come egli ha voluto dire con una formula quasi da rivoluzionario: lui, poi, che rivoluzionario non può certamente essere considerato per formazione culturale e stile di vita, anche se la sorte gli ha dato l’occasione di partecipare, pur con le funzioni di garanzia della sua carica, ad un passaggio non proprio ordinario della politica italiana.
Quella in corso dal voto elettorale del 4 marzo scorso è una fase politica forse ancora più straordinaria, per la novità delle forze in campo e per il contesto internazionale, di quella che pure segnò la fine della cosiddetta prima Repubblica, un quarto di secolo fa, tra arresti, persino bombe, suicidi, incriminazioni, dimissioni e ritiri all’estero di esponenti del cosiddetto establishment politico e finanziario del Paese. Non a caso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella conferenza stampa di fine anno, pure lui non avendo di certo la formazione culturale e lo stile di vita di un rivoluzionario, ha rinnovato il proposito di “rivoltare il Paese come un guanto”. E meno male che lo ha preferito al rozzo “calzino”, sempre da rivoltare come se fosse l’Italia, evocato da qualcuno dei magistrati impegnati fra il 1992 e il 1994 nelle inchieste sul finanziamento illegale della politica e sulla corruzione che l’accompagnava spesso. O sempre, come ritenevano i maggiori giacobini di turno. Ebbene, Mattarella non ha di ceto ignorato nel suo messaggio di Capodanno la vicenda a dir poco convulsa dell’approvazione del bilancio, e relativa manovra finanziaria, in Parlamento. Anzi, parlandone ha usato un termine quasi tratto dal duro intervento dell’esponente forse più radicale, in senso storico, del Parlamento: la senatrice Emma Bonino, intervenuta contro il bilancio e le procedure d’esame, fra le proteste di molti attori della maggioranza e un’impaziente richiamo del presidente di turno della seduta, il leghista Roberto Calderoli. Che, cronometro al polso, chiedeva praticamente all’oratrice di smetterla per avere esaurito il poco tempo a sua disposizione.
La Bonino, imitata poi dal senatore a vita Mario Monti, parlò in quell’intervento del “rullo compressore” azionato dal governo, e tollerato dai presidenti delle Camere, per chiudere in pochissimi giorni il percorso di un bilancio pur rifatto praticamente daccapo all’ultimo momento con un maxi- emendamento. Che in parte era conforme alle trattative intervenute fra lo stesso governo e la Commissione Europea per evitare la procedura d’infrazione messa in cantiere a Bruxelles di fronte alla sfida di un deficit del 2,4 per cento rispetto al prodotto interno lordo. Ma in parte derivava anche dagli sviluppi persino drammatici dei rapporti dialettici e di forza fra i due partiti della coalizione ministeriale, e addirittura all’interno di ciascuno di essi.
Ebbene, proprio di “compressione dell’esame parlamentare” ha parlato nel suo messaggio televisivo il presidente della Repubblica. Che tuttavia, pur di evitare il ricorso al cosiddetto esercizio provvisorio, ritenendolo evidentemente più grave e destabilizzante di quanto considerato da altri - costituzionalisti ed economisti- pronunciatisi sulla materia, ha promulgato il provvedimento non appena pervenutogli per la firma al Quirinale: più scorrendolo, forse, che analizzandolo per il suo volume. Così la vicenda della “compressione”, sviluppatasi fra salti di commissione, contingentamenti estremi del dibattito, e ricorsi al voto di fiducia, è stata bella che archiviata. E ciò potrebbe anche influire sull’accoglienza che sarà a breve riservata dalla Corte Costituzionale all’inedito ricorso presentato dal gruppo del Pd al Senato per la violazione lamentata dell’articolo 72 della Costituzione. Che, rendendo obbligatoria per il bilancio “la procedura normale” d’esame parlamentare, costituita dal passaggio per la commissione competente e per l’approvazione in aula “articolo per articolo”, sarebbe stato violato questa volta più clamorosamente di altre, o del solito.
Comunque, se Mattarella può avere sorpreso, a torto o a ragione, quanti si aspettavano da lui una meno fuggevole o più penetrante risposta a quanti gli si erano in qualsiasi modo rivolti durante l’esame parlamentare del bilancio per contestarne modalità e anche contenuto, egli ha lanciato al governo e alla maggioranza quello che potrebbe essere considerato un monito. In particolare, peraltro in sintonia con la “vigilanza” annunciata da qualche commissario a Bruxelles e non gradita da Matteo Salvini, tornato a minacciare per ritorsione il voto contrario dell’Italia al bilancio dell’Unione, Mattarella ha detto che proprio le forzature verificatesi nell’esame parlamentare della legge ex finanziaria del 2019 “richiedono adesso un’attenta verifica dei contenuti del provvedimento”.
L’allusione del presidente della Repubblica è innanzitutto alle misure di urgenza in cantiere nei ministeri competenti per la disciplina e l’erogazione pratica del cosiddetto reddito di cittadinanza, caro ai grillini, e della pensione anticipata rispetto alle scadenze della legge Fornero tanto contestata dai leghisti.
Par di capire che Mattarella abbia poca voglia di assistere inerte sia alla elaborazione di queste misure sia al loro percorso parlamentare. Che sarebbe quanto meno curioso se comportasse una nuova “compressione” col ricorso smodato, per esempio, al voto di fiducia per evitare non solo o non tanto un’opposizione ostruzionistica quanto combinazioni fra settori della maggioranza e settori delle opposizioni finalizzate sia a rispettare i vincoli di bilancio, ristretti dagli accordi europei, sia a penalizzare ora l’uno ora l’altro dei partiti di governo.