Beppe Grillo si è precipitato a Roma e i suoi fedelissimi dicono che sia imbufalito. Di più, pronto a mettere sulla graticola l'uomo che lui stesso ha incoronato leader politico del Movimento. Che il padre dei grillini fosse contrario a presentare liste alle regionali è noto a tutti e l'accelerazione voluta da Di Maio e Casaleggio, per lui, ha il sapore del tradimento. Di Maio, per disinnescare la bomba, ha abbandonato precipitosamente il suo tour in Sicilia per correre a Roma e provare a parlare in prima persona con il capo, per spiegargli la strategia.

«Non possiamo asservire il Movimento alle logiche del governo». Per Luigi Di Maio è questo il succo della lezione arrivata dagli attivisti che su Rousseau hanno bocciato la sua idea di saltare un giro alle Regionali emiliane e calabresi. Non una parola sulla crisi profonda di un partito allo sbando che punta l’indice contro il proprio leader, tanto da convincere Beppe Grillo a fare una capatina romana. Il capo politico dice di aver incontrato i responsabili delle campagne elettorali regionali e aver concordato il piano da seguire: «Presenza del Movimento con liste civiche collegate e nessuna alleanza con il Partito democratico». In Calabria c’è già il nome del possibile candidato: Francesco Aiello, professore di Politica economica all'Università della Calabria. Obiettivo dichiarato: «Mettere qualche consigliere regionale», dice Di Maio. Perché per la prima forza parlamentare d’Italia l’importante è solo partecipare. Il ministro degli Esteri continua dunque a dettare la linea politica come se nulla fosse successo, come se ci fossero ancora generali pronti a seguirlo. L’unica concessione è un’assemblea con i deputati, in programma mercoledì prossimo, con un solo punto all’ordine del giorno: «Aggiornamento della situazione politica».

Ma se Di Maio ha già stabilito che il Movimento si presenterà da solo ai prossimi appuntamenti elettorali, altri esponenti pentastellati di peso sconfessano pubblicamente la decisione del capo politico. Roberta Lombardi chiede una nuova consultazione su Rousseau, rivolta solo a calabresi ed emiliani, per scegliere tra: «Andare al voto da soli, cercando di coinvolgere liste civiche vere; andare al voto in coalizione con il centro sinistra; andare in coalizione con il centro destra». In altre parole né Di Maio, né i responsabili regionali possono più decidere un bel niente nel chiuso di una stanzetta senza consultare gli iscritti. Ma non è tutto, perché l’attacco frontale al leader del Movimento arriva poche righe dopo: «Usiamo Rousseau per davvero, non come scudo dietro cui nascondersi!», scrive Lombardi. «E non per procrastinare la presa di coscienza dell’inevitabile, ovvero che il ruolo del Capo politico singolo ha fallito e che l’unica grande riappropriazione della propria identità è lavorare come intelligenza collettiva, riconoscendola e rispettandola». La capogruppo M5S in Regione Lazio suona la carica e in tanti la seguono. Per tutta la giornata deputati e senatori continueranno a metter in discussione «l’uomo solo al comando» a ruota libera.

Prova a gettare acqua sul fuoco solo il presidente della Camera Roberto Fico, convinto della necessità di una riflessione su tutto il Movimento, non solo sul capo politico. Il capo degli ortodossi stempera le polemiche ma non rinuncia ad argomentare il senso della parola «riflessione», che deve investire il partito a «360 gradi». Bisogna riflettere «sulla sua identità, sui progetti e sui programmi». A questo sarebbe dovuta servire la pausa elettorale, caldeggiata anche da Fico, pur se con motivazioni differenti rispetto a quelle del capo, a ridiscutere la natura stessa di unMovimento entrato in una fase nuova. «Si tratta di un confronto urgente che non può più essere rimandato», dice il presidente della Camera. E non può essere rimandato perché i grillini devono decidere una volta per tutte se essere alternativi al salvinismo, e dunque collocarsi nell’alveo del centrosinistra, o tornare a bussare alle porte dell’ex alleato per giocare un ruolo secondario. «Dobbiamo dare tempo al Movimento di completare questa fase di transizione», prova a mediare Giuseppe Conte.

Ma in mezzo al guado non è più dato collocarsi. La strategia «ago della bilancia» per la formazione di qualsiasi maggioranza, tanto cara a Di Maio, non paga più, in un contesto politico radicalmente mutato rispetto a due o tre anni fa. Anche perché, innervositi dal tatticismo esasperato del M5S, Lega e Pd potrebbero decidere di collaborare per progettare autonomamente una nuova legge elettorale e tornare al voto in tempi rapidi. Con o senza il consenso di Luigi Di Maio.