I giochi olimpici di Rio hanno riproposto due annosi problemi.Da una parte il ruolo non sempre limpido degli organi di vigilanza. Basti ricordare le polemiche innescate dalla diffusione del «Rapporto Mclaren» sull'esistenza di un doping di Stato in Russia cui aveva fatto seguito un atteggiamento ondivago circa la decisione di ammettere o meno gli atleti di quel Paese.Dall'altro l'idea, diffusa anche tra molti campioni, secondo la quale si dovrebbe impedire la partecipazione alle Olimpiadi degli atleti squalificati per doping: senza alcuna gradazione e senza alcuna possibilità di riscatto. Come se il furto di una mela e la strage dovessero essere puniti entrambi con la pena di morte (in senso figurato e no). Si veda, per esempio, quanto dichiarato dal fuoriclasse Michael Phelps (23 ori in 5 olimpiadi) a proposito della nuotatrice russa Yulia Efimova che aveva scontato una squalifica e poi è stata al centro di un altro episodio contestato.Dopo aver vinto l'argento nei 100 metri rana, Efimova è stata fischiata a lungo dal pubblico che ha dimostrato così di non credere, contemporaneamente, né alla giustizia sportiva né alle possibilità redimenti di chi ha sbagliato.È questo il contesto nel quale si inserisce la vicenda di Alex Schwazer nuovamente condannato a stare lontano dalle gare all'esito di una vicenda che presenta molti aspetti non chiari.Non ho alcun diritto di entrare nelle scelte di questo giovane uomo: ma credo sia importante svolgere una riflessione. Se Schwazer è convinto di aver subito una decisione ingiusta (e molti elementi corroborano questa sensazione) egli deve resistere alla comprensibile tentazione di lasciar perdere e deve ricorrere in tutte le sedi per far valere le proprie ragioni (se del caso, si potrebbero organizzare raccolte di fondi per sostenerlo).Schwazer è stato un esempio quando vinceva. Lo è stato anche quando ha ammesso in pubblico le proprie colpe. Ha continuato ad esserlo quando ha tenacemente cercato di rialzarsi riprendendo a vincere.Oggi davanti a lui c'è la sfida più importante. Lottare per far emergere gli eventuali «lati oscuri» della giustizia sportiva e per riaffermare il principio secondo cui chi ha espiato una pena deve essere totalmente riabilitato.Perché una giustizia (anche quella sportiva) se non è credibile e se non mira a riaccogliere nella comunità chi ha sbagliato semplicemente non è giustizia: diventa solo il paradigma di un mondo senza regole dove non sopravvive più nulla.