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Lo scorso 4 aprile Luigi Manconi, per presentare la relazione finale della sua commissione Diritti umani, ha voluto accanto a sé il meglio dell’accademia italiana del diritto, il massimo quanto a cultura delle garanzie: il giudice costituzionale Giuliano Amato, il presidente emerito della stessa consulta Giovanni Maria Flick e il professore di Filosofia del diritto, e principale allievo di Norberto Bobbio, Luigi Ferrajoli. È proprio a lui che il Dubbio chiede se tra le righe della sentenza sugli asili nido si possa leggere anche un monito per il governo che nasce.
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la legge regionale del Veneto che individuava come requisito per avere precedenza negli asili nido il fatto che i genitori del piccolo risiedessero da almeno 15 anni nella regione: vuol dire anche che Lega e cinquestelle dovranno accantonare lo slogan “prima gli italiani” nel garantire i diritti fondamentali, dalla salute all’istruzione?
Innanzitutto mi pare evidente che nella legge regionale censurata dalla Corte ci fosse un chiaro intento discriminatorio nei confronti degli immigrati. È apparso chiaro ai giudici costituzionali, che hanno ritenuto la previsione contraria al principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3. Certo, sembra un monito, un richiamo: quello che possiamo affermare con certezza è che una simile sentenza vale oggettivamente in senso generale a ricordare che in Italia il principio di uguaglianza esiste ancora.
Sarebbero dunque incostituzionali anche eventuali corsie preferenziali per gli italiani nella sanità pubblica o nelle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi popolari?
È evidente che politiche sociali basate sulla discriminazione siano illegittime. D’altra parte bisogna fare i conti con una normazione secondaria che sfugge al controllo della Consulta e che introduce proprio meccanismi discriminatori. Parlo delle tante circolari adottate nei Comuni con le quali appunto si stabiliscono penalizzazioni per i migranti, per chi non ha la cittadinanza italiana.
Cosa non va nel programma giustizia di Lega e cinquestelle?
Non intendo procedere a un esame filologico minuzioso. Mi soffermerei solo su due aspetti che mi paiono macroscopici: l’agente provocatore e le espulsioni di massa. Nel primo caso si introduce il veleno del sospetto, un approccio poliziesco insensato e incompatibile con i principi dello Stato liberale. Rispetto alla seconda questione, siamo di nuovo nella categoria del disumano. Ero con Luigi Manconi alla presentazione del dossier elaborato dalla commissione Diritti umani: quella relazione racconta di casi assurdi.
Ad esempio?
La vicenda di un vigile urbano che ha fermato uno straniero residente in Italia da 30 anni, poi sbattuto in un centro di accoglienza, perché in quel momento quella persona non aveva i documenti: li aveva semplicemente persi. Ora, di fronte a una realtà simile, c’è chi come Salvini diffonde dichiarazioni orrende come "li andremo a cercare casa per casa". Penso che non lo faranno, ma se dovessero farlo assisteremmo a una delle cose più orribili che sia possibile immaginare.
In quell’incontro con Manconi lei disse che il no allo ius soli non si spiega con alcuna necessità di controllare i flussi migratori ma solo con l’intolleranza razzista.
Vede, le minacce contro i migranti corrispondono a piani di espulsione per lo più irrealizzabili, ma il punto non è questo. È che non ci si rende conto di riferirsi a persone in carne ossa, che spesso vivono in Italia da anni. Davvero l’unica attenuante possibile è che non ri rendano conto di quello che dicono.
L’agente provocatore è incostituzionale?
Contrasta con il principio di legalità, richiamato all’articolo 25 della Costituzione e ancora più immediatamente espresso al primo articolo del Codice penale, secondo cui ‘ nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dalla legge’. Con l’agente provocatore ci si propone appunto di punire non un reato previsto dalla legge ma l’intenzione di commetterlo. Si apre la strada a una forma indeterminata di giustizia penale, si nega appunto il principio di legalità e determinatezza dei fatti previsti come reati. E si mette in circolo una sorta di veleno.
A cosa si riferisce?
Al rischio che un istituto come l’agente provocatore possa indurre tutti noi a sospettare del vicino di scrivania. A temere che non si tratti di un collega ma di una spia. Uno scenario da incubo che può essere considerato auspicabile solo se si è sollecitati da una mentalità poliziesca. E che, ripeto, è del tutto incompatibile con i principi di uno Stato liberale.