Un faccia a faccia durato due ore, un confronto all’americana teso e drammatico che si è svolto in una caserma dei carabinieri di Roma, lontano da occhi indiscreti. Da una parte l’ex ad di Consip Luigi Marroni, il grande accusatore, dall’altra il grande accusato, il renzianissmo ministro dello Sport, Luca Lotti.

Sembra che Marroni abbia confermato punto per punto, ribadendo che fu Lotti ad avvisarlo delle “attenzioni” dei magistrati. Ma l’indagine “Consip” non è solo una storia di presunte tangenti. E’ anche uno scontro senza precedenti fra apparati investigativi. Per capire come siano andate le cose bisogna necessariamente partire dalle date. In questo procedimento, infatti, il calendario ha giocato - e continua a giocare - un ruolo fondamentale. Siamo alla vigilia di Natale del 2016 quando il Fatto Quotidiano spara la notizia che il ministro dello Sport Luca Lotti e i vertici dei carabinieri, i generali Tullio Del Sette ed Emanuele Saltalamacchia sono indagati dalla Procura di Napoli per rivelazione del segreto d’ufficio.

Secondo i pm napoletani Henry Jonh Woodcock, Celestina Carrano ed Enrica Parascandolo, i tre, unitamente al presidente della municipalizzata fiorentina Publiacqua Filippo Vannoni, avrebbero avvertito l’amministratore delegato di Consip Luigi Marroni che nei suoi confronti era stata aperta una indagine e di prestare molta attenzione.

Marroni, appresa la notizia, aveva provveduto ad una bonifica del suo ufficio rimuovendo le “cimici” nascoste dai carabinieri del Noe che da mesi stavano indagando su presunte tangenti versate dall’imprenditore campano Alfredo Romeo in cambio di appalti all’ospedale Cardarelli di Napoli. Romeo, accusato di corruzione, verrà poi sottoposto alla custodia cautelare in carcere. Dicembre del 2016 è un mese cruciale per Renzi e per il “Giglio magico”. L’allora segretario del Pd, sconfitto al referendum costituzionale, rassegna le dimissioni e lascia Palazzo Chigi a Paolo Gentiloni. Del Sette, comandante generale in carica nominato da Renzi nel 2014, sta per terminare il suo mandato. Il Governo uscente lo ha comunque rassicurato che sarebbe stato prorogato.

L’indagine di Napoli e il clamore mediatico rischiano, però, di far saltare tutto. Lo stesso dicasi per Saltalamacchia, comandante dei carabinieri della Toscana, anch’egli molto stimato da Renzi che lo aveva conosciuto da sindaco quando era comandante provinciale a Firenze e che adesso lo vorrebbe a capo dell’Aisi, il servizio segreto civile.

Mentre su Del Sette, il neo premier Paolo Gentiloni, tirerà dritto, prorogandolo nell’incarico, su Saltamacchia sarà costretto ad un passo indietro.

Il filone d’indagine sulla fuga di notizie a fine dicembre 2016 viene stralciato e trasmesso a Roma. Da questo momento in avanti inizierà una incessante fuga di notizie. Ai primi di marzo del 2017, il primo colpo di scena: l’intera informativa di reato, oltre mille pagine senza gli allegati, trasmessa per competenza da Napoli a Roma finisce integralmente nelle redazioni dei giornali. A memoria, una fuga di notizie dalle proporzioni “mai viste”, commentò a caldo il vice presidente del Csm Giovanni Legnini.

Il procuratore della Capitale Giuseppe Pignatone decide di revocare le indagini al Noe alla luce delle “ripetute rivelazioni di notizie coperte dal segreto”, delegando i carabinieri del reparto operativo di Roma: carabinieri che si indagano a vicenda.

Ed ecco il secondo colpo di scena. L’informativa in questione, redatta dal capitano dei carabinieri del Noe Giampaolo Scafarto, presenta alcuni “errori”. In particolare l’ufficiale ha attribuito a Tiziano Renzi, padre dell’ex premier, una frase mai pronunciata ed ha fatto passare, nonopo stante i suoi uomini avessero appurato il contrario, un semplice automobilista che transitava nei pressi degli uffici di Romeo per un agente dei servizi segreti.

I pm romani Paolo Ielo e Mario Palazzi indagano allora Scafarto per falso ideologico e decidono di passare al setaccio tutti gli atti che ha redatto, riascoltando anche i protagonisti di questa vicenda. I magistrati di Napoli, invece, rinnovano la fiducia a Scafarto ed ai suoi uomini. Il ministro Andrea Orlando definirà gli errori di Scafarto “gravi ed inquietanti”.

Il consigliere del Csm Pierantonio Zanettin ( Fi) chiede che si faccia chiarezza: «l’opinione pubblica vuole sapere se Scafarto abbia agito per sbadataggine o perché mosso da ambizione di carriera o addirittura perché manovrato da qualche burattinaio che è rimasto nell’ombra: queste vicende gettano un’ombra inquietante sul comportamento di apparati dello Stato in aperto conflitto tra loro». Un nuovo col- di scena alla vigilia della scorsa estate: con un provvedimento eccezionale, il direttore dell’Aise, il servizio segreto militare, “rimuove” il colonnello Sergio De Caprio, alias il “capitano Ultimo”, e 20 suoi stretti collaboratori. Ultimo, già vice comandante del Noe, nonostante fosse transitato all’Aise, «a totale insaputa di tutti i vertici del servizio», avrebbe continuato ad essere informato da Scafarto sull’evolversi dell’indagine Consip.

Con i vertici dell’Arma, l’ufficiale che catturò Riina, ha un conto aperto da anni. Bocciato all’avanzamento a generale, gli erano stati preclusi tutti gli incarichi di comando. Il 2017 sta per chiudersi e Woodcock e Carrano finiscono davanti alla Commissione disciplinare del Csm. Fra le varie contestazioni, quella di aver interrogato Vannoni, pur indagato, senza l’assistenza di un difensore.

Ielo e Palazzi, nel frattempo, ottengono una proroga delle indagini e la sospensione dal servizio di Scafarto, accusato anche di depistaggio. L’altro giorno la notizia che il Riesame ha annullato il provvedimento: nessun complotto e nessun depistaggio, Scafarto commise solo “errori involontari”. La Procura di Roma ha deciso di impugnare l’atto in Cassazione. Consip è destinata a durare ancora a lungo.