L'annuale rapporto rilasciato da Reporters Sans Frontiers sulla libertà di stampa nel mondo, ha confermato i drammatici dati che già circolavano da mesi: l'Iran e il paese dove fare informazione comporta un rischio altissimo, dove censura e arresti stanno diventando sempre di più la regola (177esima posizione su 180 di una poco lusinghiera classifica).

La situazione si è aggravata soprattutto dopo la morte, per mano della polizia morale, della ragazza curda di 22 anni Mahsa Amini, arrestata a Teheran il 13 settembre 2022 perché non indossava in maniera consona il tradizionale hijab, il velo imposto alle donne. La notizia del decesso ha sollevato un vento di protesta senza precedenti tra la popolazione con manifestazioni contro il potere durate per diversi mesi. E sono state proprio due giornaliste a far sapere al mondo che Mahsa era morta non per cause naturali ma probabilmente vittima delle percosse subite nonostante il regime degli Ayatollah abbia cercato con ogni mezzo di celare la verità. Le due croniste ora si trovano in carcere dopo sette mesi e rischiano una pena detentiva lunghissima se non la morte.

Niloofar Hamedi si trova dietro le sbarre per una foto poi pubblicata su Twitter, un’immagine divenuta virale che ritraeva i due genitori di Mahsa Amini abbracciati, stroncati dal dolore dopo la notizia della morte, in un corridoio vuoto dell’ospedale di Kasra, a Teheran. Hamedi finché si trovava in libertà lavorava per il quotidiano di ispirazione riformista Shargh, 3 giorni dopo la pubblicazione della foto uomini dei servizi segreti hanno fatto irruzione nella sua abitazione portandola via. Ancora non è stato svolto alcun processo a suo carico, l'unica certezza riguarda le accuse che sono state rese note dalla magistratura iraniana il 26 aprile scorso. La giornalista è stata imputata di collaborazione con gli Stati Uniti, e di minare la sicurezza nazionale attraverso un’opera di propaganda contro il sistema.

Attualmente Niloofar Hamedi è rinchiusa nella prigione di Qarchak, a sud di Teheran, la stessa dove si trova un altra giornalista, Elahe Mohammadi di 35 anni, per lei le stesse accuse della collega. Redattrice del quotidiano Hammihan, è stata arrestata il 29 settembre per essersi recata nella città natale di Mahsa Amini, a Saqez, nel Kurdistan iraniano. Stava seguendo come corrispondente il funerale della giovane curda riportando le notizie delle manifestazioni, represse nel sangue, che si stavano svolgendo all’indomani delle esequie. Secondo Jonathan Dagher, responsabile per il Medio Oriente di Reporters Sans Frontiers, sia Hamedi che Mohammadi sono «diventati casi emblematici della repressione della libertà di stampa in Iran, ma anche del movimento Donna, Vita, Libertà. Sono giornaliste e donne. Quindi sono simboli su molti livelli. Ecco perché il governo iraniano li sta trattando molto più duramente».

I dati d'altro canto testimoniano con chiarezza tutto ciò. Da quando è scoppiata la rivolta contro il regime i giornalisti arrestati sono stati 72, di questi 25 sono ancora detenuti, per la maggior parte donne. Durante le proteste del 2o19 erano state solo 4. Questo perché, ha aggiunto Dagher, «l'Iran tende a punire i giornalisti che sono i primi a riportare informazioni in modo più forte, a punirli e renderli un esempio per altre donne e cronisti». Ma anche chi è stato rilasciato continua a vivere in uno stato di perenne tensione e pericolo, basti pensare al caso di Nazila Maroofian che, come le due colleghe, stava indagando sulla morte di Mahsa Amini. Condannata a due anni di reclusione con sospensione condizionale della pena, senza processo per la solita accusa di propaganda contro il sistema e diffusione di notizie false, ha trascorso ben 71 giorni in prigione. Il suo lavoro è stato importantissimo oltre a cagionarle la dura repressione, sua infatti è stata l'intervista al padre di Mahsa nella quale l'uomo ha rivelato che la ragazza curda non soffriva di alcuna malattia come invece sostenevano le autorità.

Chi è stato liberato e stato costretto a rilasciare confessioni estorte con minacce, con fantomatiche dichiarazioni di pentimento o la promessa di non coprire determinate manifestazioni o argomenti scottanti per il regime come l'avvelenamento di molte ragazze delle scuole iraniane. Avvenimento di natura ancora non precisata ma che diverse inchieste hanno fatto risalire, ancora una volta, a un tentativo di punire le donne, il motore della rivolta.