La materia della responsabilità medica ha un forte legame con l’evoluzione giurisprudenziale e richiede una legislazione sempre al passo con i tempi. Ne abbiamo parlato l’avvocata Myriam Caroleo Grimaldi.

In materia sanitaria, la legislazione vigente è riuscita ad andare oltre alcune contraddizioni del passato?

La Legge Gelli-Bianco nasce con l’obiettivo di superare le incongruenze e le incertezze generate dalla precedente disciplina, meglio conosciuta come Decreto Balduzzi, ma di fatto ha dato luogo alle stesse problematiche giuridiche e applicative, che erano state affrontate dal Legislatore del 2012. È bene quindi soffermarsi sulla norma di cui all’art. 590 - sexies c.p., alla luce delle censure evidenziante sul fronte dottrinale e degli approdi giurisprudenziali raggiunti sul tema, affrontandone le questioni più significative, con riguardo alla sua applicazione concreta. Il focus della novella è incentrato sulla codificazione di regole di condotta - le linee guida e le buone pratiche clinico assistenziali - il cui processo di positivizzazione integra il fulcro, intorno a cui è stata strutturata la norma. Nonostante il loro accreditamento e la loro formalizzazione sotto il profilo giuridico, attualmente ne permane inalterata la natura di mere raccomandazioni di ordine generale, in quanto flessibili, adattabili, prive di carattere precettivo, rispetto alle quali rimarrebbe salva la libertà di scelta professionale del sanitario nel rapportarsi alla specificità del caso concreto, nelle sue molteplici varianti e peculiarità e nel rispetto della relazione terapeutica con il paziente.

Sorgono a questo punto degli obblighi in capo al professionista?

Certo. È chiamato, di volta in volta, a svolgere un rinnovato giudizio di prevedibilità ed evitabilità, teso a verificare la persistente validità della regola osservata. Quindi, da un lato, la norma assegna alle linee guida una natura all’apparenza non vincolante; dall’altro, tuttavia, le stesse costituiscono il presupposto logico-descrittivo, che delinea il nuovo precetto sanzionatorio, definendo una regola materiale della condotta, la cui inosservanza costituisce reato.

In merito all’evento del reato, abbiamo assistito ad una evoluzione giurisprudenziale?

Al problematico ruolo da assegnare alle linee guida, si aggiunge la lettera poco chiara del disposto normativo che, al suo primo comma, opera un rinvio agli artt. 589 e 590 c.p. (reati di lesioni personali e omicidio colposo), riassunto dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità in un’integrale riduzione tout court della responsabilità medica ai reati di lesioni personali e omicidio colposo. Questa interpretazione, porta a due differenti conseguenze di estremo rilievo: il rinvio ai due reati comuni (lesioni e omicidio) fa sì che entrambi siano autonomamente contestabili e punibili, attribuendo due volte a un medesimo autore un accadimento che, in realtà, è unitario (e a formazione progressiva) e che, dal punto di vista normativo, si pone in contrasto con il principio del ne bis in idem sostanziale. In sede processuale il decesso del paziente è un evento possibile in ogni fase del processo e stante l’attuale orientamento della giurisprudenza, la conseguenza è che il professionista sanitario può in ogni momento - anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza per il reato di lesioni colpose - rispondere del secondo fatto di reato, ossia dell’omicidio. Nella sostanza, un medico che subisce un processo per lesioni personali causate a un paziente, può subirne un secondo ex novo se il paziente successivamente decede per quella stessa condotta. La seconda conseguenza, invece, riguarda il termine di prescrizione, che ricomincerà a decorrere dal momento del secondo evento, ossia del decesso, che astrattamente può avvenire in ogni momento del procedimento penale. L’incertezza, dunque, del termine di prescrizione per i fatti attinenti alla sfera della responsabilità medica è assoluta. Oltretutto, in sede applicativa, la giurisprudenza ha dovuto conciliare, da un lato, la rilevanza che la norma di cui all’art. 590-sexies c.p. assegna alla natura colposa della condotta che risulta perimetrata in modo tipico e determinato (violazione delle linee guida o delle regole di perizia, negligenza o imprudenza) ed è il perno su cui poggia l’intera fattispecie criminosa; dall’altro, la natura del delitto, che il precetto normativo descrive nei termini di reato d’evento [“Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi (…)”], e che àncora la punibilità al verificarsi del decesso del paziente o delle lesioni personali. In ragione delle peculiarità tipiche della responsabilità medica rispetto ai due reati comuni cui essa rinvia e valorizzando le regole di condotta che si assumono violate, si è compiuto un riadattamento degli eventi lesioni o morte del paziente. Mi faccia però aggiungere un’altra cosa.

Prego, dica pure…

In realtà, però, sconfinando in istituti tipici dell’ordinamento civile, al fine di far rientrare nel perimetro della norma ogni fatto verificato a seguito della prestazione medica cui abbia conseguito un (non meglio precisato) lesione del bene vita, l’evento che integra il reato non è più circoscritto all’exitus ovvero alle lesioni personali, ma si estende all’accelerazione del decesso, anche se irrimediabile, o la perdita di chance di sopravvivenza misurata in forma percentuale, piuttosto che la sua maggiore intensità lesiva. Fatti estranei alla tipicità penale.

Anche il nesso di causalità è sottoposto ad una valutazione attenta rispetto ai nuovi eventi declinati dalla giurisprudenza?

il nesso di causalità rispetto all’ampio novero degli eventi progressivi distillati dalla giurisprudenza e ritenuti idonei a ricondursi a quelli tipici della morte o delle lesioni personali, tende a svincolare la condotta dal fatto finale prodotto, soprattutto nelle ipotesi di imputazione per ritardata o omessa diagnosi, quando le lesioni o il decesso del paziente avvengono in un periodo di tempo significativamente differito, rispetto alla prestazione erogata dall’operatore sanitario e che in sede processuale assumono il valore di uno sviluppo prevedibile dell’azione o dell’omissione colposa imputata al professionista. L’anticipazione di un decesso irrimediabile; la perdita di chance di sopravvivenza che consenta supposte scelte terapeutiche future e ipoteticamente in grado di procurare di incrementare speranze di vita, divengono fatti, il cui accertamento causale - sia materiale, che giuridico - si riduce nella sostanza a una valutazione ipotetica, rimessa quasi totalmente al libero convincimento del giudice. Ulteriormente, deve aggiungersi che il margine di discrezionalità attribuita all’organo giudicante, amplia i suoi confini anche in punto di regole di diligenza, in forza di un’intrinseca difficoltà a separare concettualmente, in materia di responsabilità medica, l’imperizia, dalla imprudenza e negligenza del professionista sanitario, assunto che era stato già evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità precedente all’ultima riforma.