Lina Khalifeh ha 32 anni e vive ad Amman, in Giordania. Ha i capelli riccioli corti, due orecchini e un’immancabile felpa col cappuccio. «A cinque anni ho iniziato a praticare taekwondo. A sei mi sono fatta regalare un album di figurine di Bruce Lee. Ho sempre avuto una passione per le arti marziali. Poi la vita ha deciso per me» racconta durante il suo tour a Roma con un Ponte Per.. che l’ha portata in Italia per farle raccontare la sua esperienza con SheFighter e i progetti comuni che stanno facendo con i rifugiati siriani in Giordania.

«Una mia amica fu stuprata dal padre e dal fratello. Venne all’Università piena di lividi e cicatrici e le dissi che avrebbe dovuto reagire. Lei mi rispose che non avremmo potuto fare niente, perché siamo donne» racconta Lina. Era il 2009 e quella risposta non l’ha proprio accettata: «Ho pensato che in qualche modo la mia amica aveva ragione. Non siamo tutelate e agire sulla mentalità è difficile. Così ho pensato che l’unico modo per aiutare lei e le altre era allenarle all’autodifesa».

Prima di arrivare a questa decisione Lina aveva cominciato una carriera sportiva che sembrava promettente, con oltre 22 medaglie fra kung fu, taekwondo e kickboxing «ma un giorno mi è esploso il ginocchio e ho capito che avrei dovuto fare altro».

Gli studi universitari non l’allontanano dalla sua passione e quando decide di insegnare alle donne come difendersi dagli uomini comincia a farlo nella cantina di casa sua: «Dopo poco tempo allenavo 50 donne in uno spazio piccolissimo. - continua Lina - L’entusiasmo che ricevevo mi ha convinta a creare qualcosa di più grande, un business. Così è nata SheFighter, nel 2012, quando tutti mi dicevano di lasciar perdere perché non ce l’avrei mai fatta in un Paese così patriarcale come la Giordania».

Da allora Lina ha rilasciato più di 150 certificati di fine corso e 15 sue alunne sono diventate a loro volta insegnanti: ' Quando ho iniziato a studiare come combattere gli istruttori maschi ci facevano fare cose semplici e inutili, perché tanto eravamo donne. Adesso le mie ragazze sono più preparate di alcuni di loro» ride Lina.

A Shefighter si entra come neofite e si esce da master dopo l’ultimo di quattro livelli, tutti composti da 16 ore di teoria e pratica, tre volte alla settimana, e da un test finale. E da Shefighter si esce con maggior consapevolezza di sé: «Noi siamo una comunità di donne che si sentono straordinarie. La palestra è il modo con cui io parlo alle donne e le convinco a ritenersi necessarie. Chi inizia porta da noi la sorella, la mamma o le zie. Abbiamo una signora di 75 anni che non aveva mai fatto sport prima».

La palestra come luogo per imparare a lottare, ma anche come punto di incontro: «Le giordane spesso sono molestate dai fratelli, dai padri o dai fidanzati. È il loro modo di mostrarci la gelosia, dicono. Una volta una ragazza di 25 anni è venuta da me a raccontarmi che aveva problemi di salute per le violenze che subiva in famiglia. Aveva perso 40 kg. - dice Lina - Le ho detto che io non ero una psicologa, ma avrei potuto aiutarla. Avrebbe solamente dovuto avere la costanza di venire in palestra. E cosi è andata».

Specialmente nei villaggi e nelle campagne giordane la sottomissione delle donne è ancora vista come una cosa di poca importanza, se non come un vero e proprio valore: «Qualche tempo fa una donna era scappata dal padre e dal fratello che la violentavano. Dopo un anno e mezzo è uscita dal luogo dove veniva protetta e loro l’hanno ammazzata con otto coltellate. Si sono presi tre mesi di galera per reato d’onore. Molte volte lo donne si vergognano addirittura perché subiscono violenze». Un approccio che Shefighter sta contribuendo a cambiare: «Qualche giorno fa un uomo ha toccato il culo a una mia studentessa. Lei si è girata e gli ha rotto il naso con un calcio» racconta divertita Lina.