Con il Vaticano «avevamo iniziato un percorso comune che, purtroppo, si è interrotto in modo brusco e poco chiaro. I fatti mi fanno concludere che, nel corso degli anni, il Vaticano non ha mai realmente collaborato con la magistratura italiana nel caso Orlandi». Lo dice a “La Stampa” l’allora procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, che all'epoca della scomparsa di Emanuela Orlandi si era occupato della indagini. «La mia amarezza più grande è stata quella di essere arrivato a un punto di svolta e non essere riuscito a realizzarla per l’intervento di forze sconosciute, anche se individuabili», aggiunge.

«È passato molto tempo, ma credo che all’interno del Vaticano vi siano ancora persone che conoscono la verità, alcune direttamente e altre indirettamente. E conoscere la verità, con particolari dettagli, per taluni è stato decisivo nella carriera» dice Giancarlo Capaldo. «Credo che sia entrata, con l’ingenuità dei suoi quindici anni, in un gioco troppo più grande di lei. Ritengo che sia stata sequestrata a fini di ricatto e sia stata riconsegnata da De Pedis a qualcuno inviato dal Vaticano. Temo che, successivamente, la povera Emanuela sia morta», spiega e sottolinea: «Come spesso accade nella vita, la vittima è anche carnefice: questo potrebbe essere accaduto anche al Vaticano».

Il Vaticano ha aperto un’inchiesta a 40 anni dalla scomparsa. Si arriverà alla verità? «Lo spero, ma lo ritengo improbabile. La verità è un concetto astratto, ha tante facce e non tutte presentabili. Alcune possono essere digerite solo dalla Storia. È comunque un segnale forte che il Vaticano, inaspettatamente, sua sponte, apra per la prima volta un’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela» conclude Capaldo.