Ebru Timtik è morta dopo un digiuno di 238 giorni. Era in un carcere turco colpevole solo di essersi battuta per un processo equo e contro la sistematica violazione dei diritti umani e del diritto di difesa. Condannata a 13 anni di carcere dopo un processo in cui è stato totalmente impedito il diritto di difesa, malgrado che l’istituto di medicina legale avesse dichiarato la incompatibilità col regime carcerario. Ebru Timtik è stata lasciata morire di fame in una situazione detentiva inaccettabile e non degna di un Paese che si definisce civile.

Un gesto disperato ed estremo di protesta contro la violazione di ogni elementare diritto in un sistema giudiziario che l’ha vista passare da avvocata a imputata solo per aver fatto il suo lavoro: difendere chi è accusato dal regime. Questo in Turchia è considerato un reato e viene definito “terrorismo”. Nei regimi antidemocratici l’avvocato difensore, e gli stessi giudici, sono considerati funzionali agli obiettivi dell’accusa e un avvocato che prova a fare il suo dovere diventa automaticamente “terrorista”. Anche i magistrati che credono nello stato di diritto sono incarcerati o immediatamente sostituiti se decidono la scarcerazione di indagati o imputati, come è accaduto per chi aveva deciso per il rilascio di Ebru Titmtik. Il processo penale diventa così strumento di repressione e non di verità e giustizia.

Il caso di Ebru Timtik non è il primo, né purtroppo sarà l’ultimo, di una lunga serie. Pochi mesi fa si sono lasciati morire di fame i tre componenti della band musicale Grup Yorum. ll loro sacrificio non ha però minimamente cambiato la politica del presidente turco. Non è successo allora, non è avvenuto oggi con Timtik e bisogna sperare che a questo terribile elenco non si aggiunga anche Aytac Unsal, collega di Ebru Timtik, che rifiuta il cibo da mesi. Il 21 settembre inizierà un processo contro oltre 100 avvocati turchi detenuti da oltre due anni e accusati di terrorismo per il solo fatto di aver difeso persone accusate di terrorismo. Sono continuamente arrestati, e non raramente torturati, docenti, giornalisti, cittadini che si oppongono alle ingiustizie. Erdogan vuole che si sappia che non sono ammesse critiche, non è ammesso chiedere giustizia o semplicemente il rispetto delle regole minime di uno stato che si dichiara democratico. Chi fa questo rischia il carcere per lungo periodo, con o senza processo, con o senza regole. L’arbitrio è assoluto, nessuno può stare tranquillo se non segue la politica del governo. Anche il Presidente della Corte Costituzionale della Turchia ha dovuto ammettere che oltre il 50% delle condanne in Turchia sono la conseguenza di violazione dei diritti di difesa Quanto vediamo oggi con Erdogan non è cosa nuova per la Turchia. Da avvocato mi è capitato, negli anni ottanta, di assistere a Istanbul a processi contro deputati arrestati e e condannati a decenni di carcere, per il solo fatto di aver parlato curdo nelle aule parlamentari. Centinaia sono i sindaci incarcerati per essersi opposti a leggi ingiuste e ingiustificate.

E’ importante che in Italia – come sta accadendo in altri paesi europei – associazioni di avvocati, magistrati e docenti universitari, facciamo sentire la propria voce per la giustizia. Ma non basta: è indispensabile, oltre che doveroso, che chi crede nella democrazia e nello stato di diritto non taccia o si volti dall’altra parte. Anche l’Unio- ne europea e i singoli Paesi che ne fanno parte non possono tacere, e neppure limitarsi a sterili proteste. Sono necessarie prese di posizioni concrete e sanzioni economiche che possano portare a risultati concreti.

Nei mesi passati abbiamo visto una escalation aggressiva da parte di Ankara: alla continua violazione dei diritti umani e civili si sono aggiunte il bombardamento della Siria, l’intervento militare in Libia, le provocazioni verso la Grecia e Cipro. In alcuni casi abbiamo sentito solo rituali voci di condanna o assordanti silenzi dai singoli Paesi europei e dall’Unione europea. La politica estera europea si gioca sul fronte turco una delle partite più importanti. Continuare a far finta di nulla e a finanziare Erdogan con alcuni miliardi di euro all’anno per limitare l’arrivo dei migranti dalla rotta mediorientale non può essere una politica accettabile.

E’ importante, che anche l'Italia si faccia portatrice di un’azione forte e solleciti l’adozione di sanzioni capaci di far recedere Erdogan dalla continua violazione delle libertà democratiche fondamentali. La Commissione Europea ha deciso recentemente sanzioni, anche economiche, nei confronti di Paesi quali La Bielorussia e Venezuela. Perché con la Turchia non si fa altrettanto?

Non si rischia di apparire forte con i deboli e deboli con i forti?

Per troppo tempo abbiamo sopportato arresti ingiustificati, processi viziati, minacce a giornalisti, giudici e avvocati. Ebru Timtik ha sacrificato la sua vita per mettere tutti davanti alle proprie responsabilità: dai governi ai singoli cittadini. Lo ha fatto in nome della giustizia, per il popolo turco e per tutti noi europei.