In fondo si era capito che ci avrebbe pensato la magistratura. Che la riforma delle intercettazioni avrebbe continuato a galleggiare in Senato e che le circolari diramate dai capi delle Procure più importanti non potevano essere liquidate come eccessi di protagonismo. Da ieri c’è la conferma: a scrivere le nuove norme sugli ascolti sarà il Csm, non il Parlamento. Lo annuncia il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. Un politico, certo, che però parla a nome delle toghe. Che si sia arrivati allo snodo decisivo lo si comprende da un particolare passaggio dell’intervento pronunciato ieri da Legnini: «Le frequenti indebite divulgazioni di conversazioni estranee ai temi d’indagine e relative alla vita privata di cittadini spesso neanche indagati rischiano di compromettere il prestigio e l’immagine dei titolari dell’azione penale e della polizia giudiziaria». Parole gravi, che dal vertice del Consiglio superiore non si erano mai sentite. Legnini sceglie l’incontro con i procuratori generali presso le Corti d’Appello, organizzato dalla Procura generale di Cassazione, in Aula magna. La sua è un’accusa, ma anche la premessa al programma operativo del Csm.Ecco di che si tratta: «La settima commissione, su impulso del comitato di presidenza, dopo aver acquisito le circolari adottate dalle Procure di Roma, Torino e Napoli ha già avviato il lavoro di definizione delle linee guida sul delicato tema delle intercettazioni telefoniche». Ci sarà dunque «un atto di regolamentazione» assunto non dai capi di singoli uffici ma dall’organo di autogoverno della magistratura. Certo saranno valorizzate le «positive e innovative misure organizzative adottate dai procuratori Pignatone, Spataro e Colangelo», spiega Legnini. Non fa in tempo a inserire nel “fascicolo” la circolare inviata nelle ultime ore anche da Giuseppe Creazzo, procuratore della Repubblica a Firenze: contenuti simili a quelli proposti dai colleghi.Il vicepresidente del Csm non entra nello specifico delle misure, si limita a dire che le iniziative assunte dai capi dei singoli uffici saranno portate a sintesi e integrate «con i contributi della commissione», la Settima di Palazzo dei Marescialli, appunto, «e dell’intero Csm».Una riforma vera e propria. Ma di quale portata? Le direttrici scelte a Milano, Roma, Napoli, e ora a Firenze, sono chiare: per la polizia giudiziaria che ascolta materialmente le telefonate, divieto di trascrizione per le conversazioni non rilevanti ai fini dell’individuazione della prova; per i pm, conseguente “divieto” di allegare alle richieste di misure cautelari le conversazioni penalmente irrilevanti. C’è poi una zona ibrida, quella relativa alle intercettazioni che non contengono riferimenti ai reati commessi ma che, per usare proprio le parole del procuratore di Firenze, sono comunque «pertinenti, utili per la verifica dibattimentale». Si tratta insomma della terra di nessuno, della categoria di intercettazioni più controversa: quella che i pm considerano utile a definire il «contesto», come dice Armando Spataro. Ecco, in quei casi, per il procuratore Creazzo, la «valutazione della pertinenza e della rilevanza» delle intercettazioni dovrà essere «maggiormente rigorosa». In particolare quando il contenuto sia «riferibile ai dati sensibili per i quali il codice della privacy disegna uno statuto di protezione più marcata». E si dovrà stare attenti, dice sempre il capo dei pm fiorentini, «nelle ipotesi di captazione di conversazioni nelle quali siano coinvolti soggetti estranei ai fatti di indagine».Quello che non serve, o che lede la privacy senza fornire elementi utili alla prova del reato, dovrà essere «distrutto», si legge nelle circolari diramate dai vertici delle Procure. Il vero punto è che tutte queste linee guida sono ispirate a un criterio: è sempre il pm l’autorità a cui spetta stabilire cosa può essere allegato alle richieste di arresto, e dunque alle ordinanze dei gip, e che quindi può essere messo a disposizione della difesa e diventare «pubblico». Salta quel passaggio chiave che due anni fa il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva immaginato: l’udienza filtro, in cui la rilevanza delle intercettazioni non viene stabilita in via esclusiva dall’inquirente ma da un esame congiunto delle parti, davanti al gip.Naturalmente le linee guida del Csm sarano un vademecum, non inderogabile. Ma Legnini ricorda: «Se le misure sono utili a realizzare il rispetto dei valori costituzionali coinvolti non vi è ragione di sottrarsi al dovere di mettere a disposizione di tutte le Procure un atto di autoregolamentazione uniforme cui ciascun magistrato inquirente potrà attenersi o ispirarsi». Non sarà dunque invaso il «potere» dei procuratori: ma il Consiglio, spiega Legnini ha il dovere di «contribuire a definire buone prassi applicative per individuare un possibile equilibrio tra l’impiego dell’irrinunciabile strumento investigativo delle intercettazioni e i valori costituzionali sottesi al diritto alla riservatezza, a una corretta informazione e al diritto di difesa». Intenzioni giustissime. Che però prefigurano un Parlamento di fatto esautorato su dossier chiave per la giustizia.