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Associated Press/LaPresse
«Si invitano i connazionali presenti in Mali a valutare di lasciare quanto prima il Paese e a verificare di aver segnalato la propria presenza all’Ambasciata d’Italia a Bamako». È quanto si legge nell’avviso diffuso dalla Farnesina la sera del 29 ottobre tramite il suo sito e l’applicazione Viaggiare sicuri, destinato ai circa 70 italiani che risiedono nel Paese africano, per lo più nella capitale Bamako.
Il giorno precedente l’ambasciata americana in Mali ha invitato i cittadini statunitensi a «partire immediatamente» e di farlo «usando voli commerciali, dal momento che i collegamenti via terra con i Paesi confinanti potrebbero non essere sicuri a causa di attacchi terroristici lungo le autostrade nazionali». Già il 25 ottobre l’ambasciata statunitense aveva diffuso l’avviso di evitare viaggi nel Paese a causa di «criminalità, terrorismo e rapimenti».
«La situazione in Mali è complicata. Abbiamo invitato tutti i nostri connazionali a lasciare il paese. C’è un’allerta dopo il sequestro di questo religioso americano in Niger portato in Mali e in tutta l’area c’è grande tensione», ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che si trova nella regione insieme al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, per rafforzare il partenariato strategico con tre Paesi chiave, Mauritania, Senegal e Niger coinvolti nel Piano Mattei.
«Siamo in contatto con la nostra ambasciata e speriamo che la situazione non si deteriori. In tutta l’area c’è una presenza jihadista, ma c’è anche una presenza dello Stato islamico - ha proseguito Tajani - quindi c’è grandissima tensione anche in contrasto con i governi militari che sono anti-jihadisti e anti-Stato islamico. C’è il rischio sempre di colpi di Stato, di scontri a fuoco, noi lavoriamo per la distensione invece».
Il Mali è governato da una giunta militare, salita al potere con un colpo di Stato nel 2021, condotto dal colonnello Assimi Goïta che ha sottratto il Paese al controllo francese e ha fondato l’Alleanza degli Stati del Sahel con Burkina Faso e Niger, anch’essi governati da giunte militari, salite al potere con colpi di Stato rispettivamente nel 2022 e nel 2023. La Francia ha terminato il ritiro delle sue truppe dispiegate in Mali il 15 agosto 2022, mettendo così fine all’Operazione Barkhane iniziata nel 2014 e a cui ha partecipato anche l’Italia con un contingente di 250 soldati e diversi mezzi militari, dispiegati a gennaio del 2022 e ritirati a fine luglio del 2022. Il ritiro delle truppe francesi dal Mali ha segnato un’altra tappa nel declino della politique de grandeur teorizzata da De Gaulle nel secondo dopoguerra che portò alla creazione della Françafrique.
A partire dal maggio scorso il gruppo terroristico Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), legato ad Al-Qaeda, ha iniziato ad attaccare fabbriche e miniere nell’area della città di Kayes. Un portavoce del JNIM ha annunciato il 4 settembre che il gruppo avrebbe bloccato i rifornimenti di carburante e che avrebbe limitato i movimenti dei residenti delle città di Keyes e Nioro nella parte occidentale del Paese, vicino al confine con Senegal e Mauritania. Il blocco annunciato dai jihadisti è una ritorsione al taglio dei rifornimenti ordinato dal governo maliano nelle aree controllate dalle milizie del JNIM nel tentativo di stanarle. Mossa, quella dell’esecutivo, che ha avuto l’effetto di un boomerang.
Dal giorno dell’annuncio i miliziani jihadisti hanno iniziato a bloccare e svuotare le autocisterne provocando la sospensione dei collegamenti tra Bamako e Dakar, capitale del Senegal, e con la città meridionale di Segou. Come riportato da Reuters, il 5 settembre sei conducenti di autocisterne sono stati presi ostaggio dal gruppo jihadista e rilasciati il giorno seguente, mentre dieci giorni più tardi i miliziani hanno attaccato e dato alle fiamme 40 autocisterne nell’ovest del Paese. L’esercito maliano ha provato a contenere le milizie jihadiste con raid aerei nell’area di Kayes, senza però sortire, per il momento, gli effetti desiderati.
La carenza di carburante provocata dalle azioni del JNIM ha portato il ministro dell’Istruzione maliano Amadou Sy Savane ad annunciare la sospensione delle lezioni nelle scuole e nelle università fino al prossimo 9 novembre. Savane ha dichiarato che il governo «sta facendo tutto il possibile» per risolvere la crisi dei carburanti entro la data indicata per la ripresa delle lezioni. Il Mali non ha sbocchi sul mare e dipende dai Paesi confinanti per gli approvvigionamenti energetici. Il blocco dei rifornimenti sta causando numerosi disagi alla popolazione maliana come l’aumento esponenziale dei beni di prima necessità e il peggioramento delle già critiche condizioni di vita nel Paese, in cui metà dei 25 milioni di abitanti vive al di sotto della soglia di povertà. La stessa operatività delle forze armate maliane è messa in difficoltà dalla mancanza di energia elettrica.
Per trovare una soluzione alternativa alla crisi in corso il presidente Goïta lo corso venerdì ha ricevuto a Bamako una delegazione russa guidata da Alexej Koijikov, membro del Dipartimento russo per la Cooperazione panafricana, inaugurato lo scorso febbraio e guidato da Tatyana Dovgalenko, già a capo della segreteria del Forum di partenariato Africa-Russia. Koijikov ha promesso a Goïta di consegnare tra le 160 mila e le 200 mila tonnellate di carburante al mese. Da quando si è affrancato dalla sfera d’influenza francese il Mali si è progressivamente avvicinato alla Russia.
A luglio del 2023 Goïta ha effettuato il suo primo viaggio all’estero recandosi a San Pietroburgo per partecipare al summit Africa-Russia. «Numerosi Paesi africani - ha dichiarato Goïta nel corso del summit - in particolare il Mali, stanno subendo pressioni senza precedenti da parte di divresi Paesi che sono pronti ad introdurre sanzioni contro di noi per la nostra partnership con la Russia, per la nostra scelta di sovranità. Siamo sconcertati da questa pratica neocolonialista che deve essere frenata attraverso uno sforzo concertato a livello internazionale».


