Un atto d’accusa, durissimo, appena screziato dal dolore e dalla commozione quello di Yulia Navalnaya, vedova di Alexei Navalny che punta il dito contro il nemico di sempre, Vladimir Putin.

In un video di nove minuti pubblicato ieri su youtube, Navalnaya lancia l’ennesima sfida allo “zar” e promette di continuare l’opera del marito, l’ultimo grande oppositore del regime morto in circostanze oscure nella colonia penale di “Lupo artico” in Siberia: «Uccidendo Alexei, Putin ha ucciso metà di me, metà del mio cuore e della mia anima. Ma ho ancora la parte restante, e mi dice che non ho il diritto di arrendermi».

Non solo responsabilità politica, dunque, ma anche materiale; Navalnaya è convinta che Putin sia il mandante di un vero proprio omicidio premeditato e indica persino “l’arma” utilizzata per stroncare Alexei: il micidiale Novichok che in russo significa “nuovo arrivato”, un agente nervino letale che sttacca il sistema nervoso centrale e che non lascia praticamente tracce nel corpo umano, già utilizzato per colpire l’ex agente segreto russo Sergey Skripall, avvelenato assieme alla figlia nella cittadina di Salisbury, in Inghilterra, il 4 marzo del 2018. Un autentico marchio di fabbrica del Cremlino.

Si sospetta che l’avvelenamento subito da Navalny nell’agosto del 2020, mentre era in Germania, fosse anch’esso opera del Novichok; in quel caso l’oppositore entrò in coma ma riuscì a salvarsi la vita per miracolo grazie alle pronte cure dei medici tedeschi.

«Putin ha ucciso il padre dei miei figli. Putin mi ha portato via la cosa più preziosa che avevo, la persona più vicina e amata. Ma Putin vi ha portato via anche Navalny - ha detto Navalnaya - Da qualche parte in una colonia nell’Estremo Nord, oltre il Circolo Polare Artico, nell'eterno inverno, Putin non ha ucciso solo un uomo, Alexei Navalny. Voleva uccidere insieme a lui le nostre speranze, le nostre libertà, il nostro futuro. Distruggere e annullare la prova migliore che la Russia può essere diversa. Che siamo forti, che siamo coraggiosi, che crediamo e lottiamo disperatamente e vogliamo vivere diversamente».