Più che di correzione di rotta bisogna parlare di inversione di marcia. Dopo la contata riunione telefonica di mercoledì notte Christine Lagarde e la Bce hanno imboccato una strada opposta a quella che la presidente aveva indicato, e fatto temere, con la disastrosa conclusione del vertice di alcuni giorni fa. La Bce mette in campo 750 mld, rispolvera davvero il Quantitive Easing di Mario Draghi, promette sostegno e liquidità non solo tramite acquisto di debito pubblico ma anche comprando cambiali a breve delle piccole e medie industrie. Inoltre abbatte il limite, non formale ma sin qui ferreo lo stesso, del massimo del 33% di titoli acquistabili per singola emissione e parla apertamente di appoggi anche agli individui. Il programma non ha termine, durerà fino alla sconfitta del virus ma certamente proseguirà per tutto il 2020.La risposta dei mercati è stata immediata: lo spread, che mercoledì aveva superato i 320 punti per poi fermarsi a una quota meno massacrante ma sempre da allarme rosso, 271 punti, è sceso sotto i 200. Di fatto la presidente si è rassegnata a fare quello che lei stessa aveva dichiarato do voler evitare quando aveva auspicato di non dover essere ricordato come un'altra presidente del whatever it takes, secondo la formula usata dal suo predecessore Mario Draghi quando, nel 2012, annunciò il Quantitative Easing e minacciò l'uso di armi anche più potenti, il famoso bazooka al quale in realtà non è poi stato necessario fare ricorso essendo bastato parlarne: le  Outright Money Transactions, l'acquisto illimitato di crediti di Stato. Soprattutto, Lagarde si è mossa, costretta dagli eventi, dalle dimensioni della crisi e dagli esiti devastanti della sue dichiarazioni della settimana scorsa, in direzione opposta a quella per imboccare la quale era stata nominata presidente: cambiare le politiche di Draghi, mai accolte con favore dalla Bundesbank e dalle banche centrali di Paesi rigoristi del nord. La settimana scorsa, pur di non dividere il board della Bce la Lagarde aveva accettato di tenere basso il tiro. Mercoledì notte, anche grazie alle pressioni fortissime non solo dell'Italia ma anche del ministro francese della Finanze, ha accettato una decisione a maggioranza, col voto contrario del tedesco Weidmann, e del resto la Bundesbank aveva già votato contro il QE di Draghi nel 2012. e dei Paesi più rigoristi. Ma non è detto che la guerra sia finita qui.