Brutto colpo per il premier britannico Theresa May: l'Alta Corte di Londra ha stabilito che solo il Parlamento ha il potere di attivare la Brexit e che il governo dovrà ottenerne il consenso per avviare la procedura di divorzio dall'Ue. I giudici hanno dato ragione a un gruppo di semplici cittadini, convinti che il referendum del 23 giugno fosse solo consultivo e non vincolante. Il premier Theresa May sosteneva invece che il referendum avesse dato un mandato al governo. E adesso la sentenza potrebbe avere conseguenze pesanti sul processo di uscita del Regno Unito dall'Ue. Durante il recente congresso annuale del Partito Conservatore, May aveva annunciato la sua intenzione di attivare l'Articolo 50 del Trattato di Lisbona (quello che apre i due anni di negoziato formale per il distacco dall'Ue) prima della fine di marzo 2017, una tabella di marcia che ora potrebbe cambiare. Il governo, che subito dopo la sentenza si è detto "deluso", ha già annunciato che farà ricorso. I due fronti dovrebbero rivedersi ai primi di dicembre dinanzi alla Corte Suprema. Cosa cambia?Se il referendum del 23 giugno aveva fatto chiarezza sul quesito Brexit Sì-Brexit No, la decisione dell'Alta Corte britannica apre un terzo scenario: Brexit, forse. Accogliendo il ricorso dell'attivista anti-Brexit Gina Miller, i giudici dell'Alta Corte hanno riconosciuto il diritto del Parlamento di decidere se attivare l'Articolo 50 del Trattato di Lisbona e avviare ufficialmente il negoziato con Bruxelles per l'uscita dalla Ue.È stata così ribaltata l'impostazione del governo guidato da Theresa May, che rivendicava l'esclusiva responsabilità di Downing Street sulla questione, al punto da indicare una data, marzo 2017, per l'avvio del processo di uscita. In fondo, quello sostenuto dalla premier e dal fronte pro Brexit, decisi ad evitare il pronunciamento del Parlamento, era un paradosso politico, uno dei tanti innescati dal referendum.L'intera campagna per l'uscita dalla Ue era stata impostata proprio sulla necessità di consentire a Westminster di riappropriarsi della piena sovranità ceduta a Bruxelles ed ora lo stesso governo britannico intendeva negare al Parlamento di Londra la possibilità di esprimersi su una decisione di tale portata storica. Il ricorso in appello che il governo ha già annunciato di voler presentare davanti alla Corte Suprema, il tribunale di ultima istanza, secondo gli esperti ha scarse possibilità di essere accolto. In teoria, se l'appello del governo dovesse essere bocciato, l'esecutivo potrebbe tentare un estremo ricorso davanti alla Corte europea di Giustizia. E questo sì che sarebbe un altro paradosso. Quindi, se non ci saranno sorprese e anche se "Brexit significa Brexit", come ha più volte ripetuto in questi mesi Theresa May, spetterà comunque alla Camera dei Comuni e a quella dei Lord decidere se e quando dare il via alla pratica di divorzio dalla Ue.La domanda alla quale al momento è però impossibile rispondere è come il Parlamento verrà consultato. Sarà sufficiente un semplice voto Sì o No, una sorta di referendum parlamentare che confermi o ribalti l'esito di quello popolare? O sarà invece necessario varare una legge che stabilisca i termini del pronunciamento parlamentare? Se questo dovesse avvenire, i tempi si allungherebbero, e non di poco, e si aprirebbero scenari inediti e rischiosi per il governo.Al momento è anche impossibile prevedere l'esito del voto parlamentare. Sulla carta, tra i 650 deputati che siedono ai Comuni, 479 durante la campagna referendaria erano schierati per la permanenza nella Ue, compresi circa la metà dei deputati conservatori. Ma a partire dal 23 giugno, molte cose sono cambiate. Molti deputati, con la vittoria della Brexit, hanno scoperto di rappresentare collegi nei quali la maggioranza degli elettori si era schierata per il divorzio dall'Europa. Col sistema elettorale britannico, per un deputato sarebbe un suicidio elettorale votare in Parlamento in palese contraddizione con la volontà espressa dalla maggioranza degli elettori del suo collegio. Una decisione in massa in questo senso, spalancherebbe le porte ad un prepotente ritorno sulla scena politica dell'Ukip, il partito euroscettico di Nigel Farage, che dopo il referendum sembrava aver esaurito la sua parabola politica.Per risolvere il conflitto tra ciò che la stragrande maggioranza dei parlamentari ritiene (o riteneva) essere nell'interesse nazionale, vale a dire la permanenza nell'Unione europea e la volontà della maggioranza degli elettori che hanno votato per la Brexit, ci sarebbe solo un modo: convocare elezioni anticipate. Per farlo, è richiesta una maggioranza dei due terzi dei deputati della Camera dei Comuni, ma con il partito Laburista in forte difficoltà secondo i sondaggi è improbabile che ciò avvenga. In questo contesto, gli unici voti sicuri contro la Brexit sono quelli dei deputati dello Scottish National Party.Alla fine, come suggerisce Anand Menon, direttore del think tank 'UK in a Changing Europe', la decisione di oggi dell'Alta Corte molto probabilmente non fermerà la Brexit, ma le darà un'ulteriore legittimazione. Il Parlamento, adeguandosi alla volontà popolare, voterà per il Sì all'uscita dalla Ue, limitandosi a imporre dei paletti politici al governo di Theresa May. Tra questi, probabilmente, la permanenza nel mercato unico europeo, che però potrà essere accordata da Bruxelles solamente se Londra accetterà quelle regole su libertà di movimento delle persone e immigrazione contro le quali si è votato nel referendum di giugno.