Il 23 settembre scorso quando Volodymyr Zelensky ha tenuto un atteso discorso davanti l'assise delle Nazioni Unite, diversi osservatori hanno percepito che l'atteggiamento di molti paesi stava cambiando. Non c'era infatti quella granitica decisione nel sostenere l'Ucraina invasa dalla Russia.

L'impressione è stata che la guerra non fosse più in cima all'agenda. L'interesse ovviamente è ancora cruciale ma stanno intervenendo dei fattori che all'inizio del conflitto non erano ancora emersi. L'elenco è lungo, dalla non catastrofica situazione economica in Russia, che si pensava sarebbe stata piegata dalle sanzioni e dall'isolamento internazionale, all'atteggiamento sibillino dei cinesi, dalle mosse indiane che con il leader Modi giocano su più tavoli, cosi come fanno i turchi.

Anche il recente incontro dei Brics che si è tenuto in Sud Africa ha mostrato uno schieramento di nazioni che intendono costruire un blocco geopolitico in primis anti americano. Lo stesso atteggiamento dei paesi latinoamericani e di quelli africani, per i quali il conflitto ucraino non è che una guerra regionale che ha come riflesso le difficoltà di importazioni di grano, stanno a dimostrare le difficoltà per Zelensky di raccogliere un sostegno che si dovrebbe concretizzare essenzialmente in aiuti militari.

Ma sono essenzialmente le situazioni interne di alcune nazioni a segnalare che il vento sta prendendo, forse, altre direzioni. A cominciare dagli Stati Uniti, il massimo contributore dell'Ucraina, che è stato attanagliato fino a due giorni fa in un dibattito tutto teso a scongiurare lo shutdown che avrebbe paralizzato il finanziamento al governo federale.

Gli Stati Uniti hanno stanziato fino ad ora oltre 110 miliardi di dollari in sostegno militare ed economico. Ma durante il fine settimana scorso il Congresso ha abbandonato i piani per dare all'Ucraina altri 6 miliardi. Alla fine i Repubblicani hanno ceduto e consentito che non si andasse al blocco della macchina statale ma è chiaro che nel Gop, in particolare l'area trumpiana, si pensa che il flusso di denaro all'Ucraina dovrebbe essere frenato, oppure essere condizionato da una ulteriore spesa per la sicurezza delle frontiere.

Nonostante ciò Biden ha promesso all'Ucraina altri 24 miliardi, ma è da vedere quanto questo possa pesare sulla sua rielezione visto che Trump non pare azzoppato dai guai giudiziari. In caso di una sua vittoria, il prossimo anno, potrebbe pesantemente condizionare il fronte internazionale pro Ucraina.

Ma gli scricchiolii si avvertono anche oltre oceano; i ministri degli Esteri dell'Ue hanno visitato Kiev lunedì, riunendosi collettivamente per la prima volta in una dimostrazione di compattezza. Josep Borrell, capo della politica estera di Bruxelles, ha dichiarato che l'Europa manterrà il suo sostegno militare ( finora per un valore di oltre 5 miliardi di euro), ma un risultato elettorale come quello verificatosi in Slovacchia sembra mettere in forse questa certezza.

Le elezioni infatti hanno visto prevalere il partito Smer di Robert Fico, anche se deve ancora essere formata una coalizione di governo. L'ex primo ministro e un populista, omofobo e anti immigrati, caratteristiche che lo accomunano anche all'ungherese Orban mai tenero con gli ucraini, tutta la sua campagna elettorale è stata centrata sulla promessa di porre fine al sostegno militare a Kiev. La sua propaganda è semplice: «Le persone in Slovacchia hanno problemi più grandi dell'Ucraina».

Chiusura e retorica che attraversano anche la Polonia dove a breve si terrà un'altra importante consultazione. Il partito di governo Legge e Giustizia ha promesso di fermare l'importazione di grano ucraino a basso costo a cui gli agricoltori polacchi si oppongono. Per il presidente, Andrzej Duda: «L'Ucraina come un uomo che sta annegando trascinando giù i suoi soccorritori». Il fronte internazionale dunque vivrà a breve ulteriori fibrillazioni che produrranno probabilmente una serie di veti incrociati anche per altre questioni, che si tratti della crisi globale, del costo della vita o dell'emergenza climatica.