Commentando i massacri di Bucha Joe Biden ha parlato senza sfumature di «genocidio», accusando direttamente Vladimir Putin di quelle nefandezze. In effetti le immagini e le testimonianze dei sopravvissuti nella città ucraina sono un pugno nello stomaco: esecuzioni di civili, torture, stupri, fosse comuni e tutto il vasto campionario dell’orrore, Indubbiamente nelle strade di Bucha si sono consumati dei crimini di guerra, resi ancora più odiosi dal negazionismo del Cremlino che in sostanza ha accusato gli ucraini di essersi uccisi da soli. Ma è pertinente, come ha fatto il presidente degli Stati Uniti parlare di genocidio?

Rispondere al quesito non è semplice e senz’altro prematuro. Ci sono indizi, moventi, precedenti, ma la guerra è ancora in corso e i magistrati della Corte Penale e della procura di Kiev (alla quale gli Usa, come la Russia, non aderiscono) hanno appena iniziato le indagini. Anche le Nazioni unite hanno promesso un’inchiesta indipendente che ricostruisca quanto avvenuto durante l’assedio di Bucha e la catena delle responsabilità. Insomma vorrà un po’ di tempo per individuare i colpevoli e determinare se quelle stragi facciano parte di un disegno di pulizia entno-nazionalista deciso dall’alto.

È dalla scoperta dei campi di sterminio nazisti che il genocidio è diventata una categoria storico- politica specifica. La volontà del Terzo Reich di annientare tutti gli ebrei sulla faccia della terra (sei milioni di morti) è l’emblema e l’antonomasia di cosa sia un genocidio in una misura quasi incomparabile ad altre tragedie storiche. Furono senz’altro un genocidio i massacri e le deportazioni degli armeni progettati e realizzati dall’impero ottomano (1,5 milioni di morti) tra il 1914 e il 1915. Stesso lugubre copione in Ruanda nel luglio 1994 con l’uccisione a colpi di machete e mazze chiodate di un milione di persone di etnia tutsi da parte delle milizie fanatiche dell’”Hutu power”.

Meno di 12 mesi dopo un altro genocidio nel cuore dell’Europa a Srebrenica dove in pochi giorni le unità dell’esercito della Repubblica serba di Bosnia guidate dal generale Ratko Mladic fece a pezzi 8mila giovani musulmani bosniaci compiendo stupri etnici su migliaia di donne per purificare la razza. dietro tutte queste carneficine c’è stata una volontà di annientamento totale su base etnica, nazionale o religiosa.

Capire se quello di Bucha sia un genocidio o dei “semplici” crimini di guerra non è dunque un distinguo formale, un affare di definizioni e di semantica. Il capo del Cremlino, parlando di «denazificazione» dell’Ucraina, oltre a creare un corto circuito ideologico, suggerisce un approccio strategico alle violenze in corso una volontà di modificare il profilo complessivo di un paese che ha fatto capire di non riconoscere come tale. La denazificazione è nei fatti una “russizzazione” forzata o comunque una “de-ucranizzazione”? Non è facile decifrare l’ideologia dello “zar”; da oltre un mese il mondo si interroga su quali siano i reali obiettivi di Mosca senza venirne a capo.

Possiamo soltanto interpretar egli inquietanti segnali della sua comunicazione e associarli a quanto sta avvenendo sul fronte di guerra. Certo è che genocidio è una parola importante che è stata usata a sproposito dagli stessi attori del conflitto, a cominciare da Vladimir Putin che, per giustificare l’invasione militare dell’Ucraina, ha evocato «il genocidio» ai danni delle popolazioni russofone del Donbass che lui avrebbe soccorso come un prode e disinteressato cavaliere.

In questo caso l’uso del termine è smaccatamente propagandistico: negli ultimi sette anni in Donbass ci sono state circa 15mila vittime tra milizie russofone, battaglioni nazionalisti ucraini e civili da entrambe le parti, una guerra di secessione a media intensità costellata di ferocia e che ha dilaniato la convivenza civile, ma non un conflitto genocidiario. Anche le parole del presidente Usa saltellano sul ritmo della propaganda di guerra all’interno di un escalation verbale che pare inarrestabile. Ma gli eccidi avvenuti a Bucha e probabilmente in altre città sono reali come lo sono le deportazioni dei rifugiati ucraini spediti in Siberia. E questo conta più dei raptus verbali di Joe Biden.