Il Pd, seppure a fatica, avvia la macchina congressuale. La direzione nazionale ha provveduto all’elezione del Comitato costituente che dovrà scrivere la nuova carta dei valori e segnato, di fatto, l’inizio del percorso che porterà all’elezione del successore di Enrico Letta. Un percorso che, come si è detto fino alla nausea nelle scorse settimane, dovrebbe segnare soprattutto un profondo rinnovamento del partito. E proprio su questo punto la composizione del Comitato ha già provocato non poche discussioni interne. I “cento”, con l’eccezione degli intellettuali esterni, sono stati reclutati con antichi criteri e la visione d’insieme sembra proprio far venir fuori un mosaico che rappresenta in pieno peso e forza delle varie correnti interne. Una vera e propria contraddizione in termini, considerato che il dibattito delle scorse settimane in casa dem si è incentrato proprio sul correntismo e sugli effetti nefasti che avrebbe avuto nella vita del partito, portandolo all’attuale fase di crisi. Una totale demonizzazione delle correnti, che entro certi limiti sarebbero anche fisiologiche all’interno del partito, per poi cedere alle loro pressioni alla prima prova ufficiale. Garanti del Comitato sono Enrico Letta e Roberto Speranza a sottolineare come uno degli obiettivi principali del congresso sarà quello di far rientrare nel partito i fuoriusciti di Articolo 1. Insieme ai garanti, hanno trovato spazio poi molti rappresentanti istituzionali tra parlamentari, governatori e papabili candidati alla segreteria, cominciando proprio da Stefano Bonaccini e Paola De Micheli. Ad eccezione di Franceschini e Guerini, che però hanno dentro i propri uomini con il consenso di Letta, è rappresentato tutto il gruppo dirigente nazionale: Andrea Orlando, Peppe Provenzano, le capogruppo Simona Malpezzi e Debora Serracchiani, Matteo Orfini, Graziano Delrio e anche Gianni Cuperlo.Tra i più scontenti gli uomini di Bonaccini che, facendo i conti, vedono più uomini vicini a Letta e al vecchio establishment che non rappresentanti “amici”. Ma se il malumore delle truppe del candidato alla segreteria è rimasto sotterraneo, più esplicito è stato il disappunto espresso da molte donne dem.  Lo stesso gruppo che si era attivato per chiedere l’anticipazione della data del congresso. Si tratta di Chiara Gribaudo, Enza Bruno Bossio, Giuditta Pini, Alessia Morani e Valeria Fedeli, tutte compatte nel criticare il metodo di scelta dei componenti e soprattutto il risultato finale: «Siamo davanti all’autoconservazione del gruppo dirigente responsabile della sconfitta». Per tanti, dunque, un’occasione persa per dare un segnale di vero rinnovamento alla vigilia della discesa in campo dei candidati che si affronteranno alle primarie. Con la speranza che possa bastare il contributo degli esterni, uno terzo dei cento, che vede la partecipazione di intellettuali come Mauro Magatti, Chiara Saraceno, Filippo Andreatta, Roberto Esposito, Viola Ardone, Maurizio De Giovanni, Carlo Trigilia, Enrico Giovannini e Mario Hubler. Il Comitato dovrebbe mettere a punto una sorta di nuova carta costituente da sottoporre all’Assemblea nazionale il 21 e il 22 di gennaio. Mentre il Comitato sarà al lavoro, si dovrà stringere per le candidature alla segreteria. Al momento quelle sicure sono quelle di Bonaccini e De Micheli, mentre molti altri dei papabili dovrebbero sciogliere le proprie riserve nei prossimi giorni. L’incertezza più grande riguarda la sinistra dem, pericolosamente in bilico tra la vice di Bonaccini, Elly Schlein, e l’ultima suggestione legata al nome di Enzo Amendola che, però, non pare intenzionato a prestare il suo assenso. Due sindaci sono in procinto di sciogliere i propri dubbi e si tratta di Dario Nardella (Firenze) e Matteo Ricci (Pesaro). Anche in questo caso, però, rimane sia l’incertezza della candidatura in prima persona che in ticket con la stessa Schlein. Il ticket Schlein- Nardella, ad esempio, non dispiacerebbe né a Franceschini, né allo stesso Letta. Tra le incognite da sciogliere rimane poi il ruolo che decideranno di avere i governatori del Sud Michele Emiliano e Vincenzo De Luca. Quest’ultimo, in particolare, sta valutando con attenzione il da farsi e potrebbe essere spinto a proporsi come anti-Bonaccini in virtù della visione diversa sull’autonomia differenziata. Mentre il presidente dell’Emilia Romagna, pur contrario all’impianto di Calderoli è possibilista sull’autonomia, De Luca vuole alzare le barricate davanti a un progetto di legge che, almeno nella sua interpretazione, andrebbe ad affossare definitivamente le regioni meridionali.