Zelensky? Un «pazzo irresponsabile», un «comico allo sbaraglio», una «tragica macchietta che manda a morire il suo popolo». Ma ci sono versioni ancora più spinte: «burattino della Nato», «invasato guerrafondaio», «drogato nazista», etc... E gli ucraini? Nel migliore dei casi delle vittime inconsapevoli della follia dei loro dirigenti, ma anche delle «pedine» di una guerra per procura nel grande gioco della Nato, altrimenti dei «fanatici nazionalisti», dei nazisti insomma.

Non c’è niente da fare, la resistenza all’invasione russa giunta ormai al 56esimo giorno genera fastidio e insofferenza crescenti nella nostra dissociata opinione pubblica. Un pensiero trasversale, condiviso da ampi settori della sinistra, della destra sovranista, o semplicemente dal senso comune, apolitico e qualunquista, pervaso dalla paura che la guerra si allarghi a macchia d’olio e che ci venga a bussare alla porta di casa, magari sotto forma di stangata con l’aumento delle bollette e dell’inflazione. O magari molto peggio.

Anche se la paura generalmente non è una buona consigliera si tratta di un sentimento comprensibile e rispettabile. Molto meno il paternalismo ipocrita con cui vogliamo spiegare agli ucraini cosa sia meglio per loro. Ma perché non si arrendono quegli sciagurati? Perché non danno a Cesare quel che è di Cesare? Non gli bastano le bombe, non gli bastano i massacri, le macerie, i milioni di profughi? Tanto Putin la guerra l’ha già vinta, bisogna accettare la realtà.

Sembra la litania del poliziotto gentile che, mentre quello cattivo brutalizza il prigioniero, gli spiega con il sorriso che è meglio collaborare, che dopo sarà tutto finito e potrà tornarsene tranquillo a casa. Una benevolenza farisaica e paracula con cui mascheriamo in modo subdolo intenti e interessi molto più prosaici, in primis quell’opulenza in cui, tra un commento indignato sui social e l’altro, ci culliamo h 24 e che giammai deve subire screziature.

Così ci vuole poco a scivolare dalla solidarietà pelosa nell’aperta ostilità, nell’astio verso gli occupati e gli assediati, con l’effetto di rovesciare tutta la narrazione bellica dandone la responsabilità alle vittime la cui unica colpa è quella di lottare per la propria sopravvivenza senza cedere al tiranno.

Perché ci disturba tanto osservare una popolazione che difende le proprie famiglie e le proprie case? Oltre all’egoismo primario di chi teme di perdere il privilegio di vivere in una democrazia benestante ci deve essere una ragione profonda per cui la resistenza ucraina suscita tanto risentimento tra gli italiani. Qualcosa che riguarda la nostra cultura, la nostra psicologia collettiva, insomma le nostre caratteristiche nazional- popolari per dirla con Gramsci. In proposito sarebbe fin troppo facile citare la storica doppiezza e l’opportunismo della diplomazia italiana, che in due guerre mondiali ha cambiato in corsa le sue alleanze. Ma in fondo le classi dirigenti non sono altro che il riflesso del proprio popolo e noi italiani abbiamo tutti ben chiaro in mente qual è la nostra immagine: la furbizia travestita da intelligenza, il compromesso perpetuo, la diffamazione vigliacca, il disprezzo della coerenza altrui e un amore fatuo per la farsa direttamente proporzionale al nostro rifiuto della tragedia, anche quando ci scorre sotto gli occhi.

Gli ucraini che si ostinano a combattere contro un nemico infinitamente più forte di loro e forse destinato alla vittoria ci sbattono in faccia con brutalità tutte le nostre piccole miserie, scoperchiano i nostri mantra ipocriti. E per noi è inaccettabile guardarci allo specchio e accettare la nostra identità, la nostra natura. Al punto che siamo disposti a rifiutare la stessa realtà, aggrappandoci addirittura alla propaganda più bieca, alle fake news più grossolane e negazioniste.

Se infatti all’inizio del conflitto appena il 5% degli italiani metteva in dubbio i bombardamenti e i massacri, dopo quasi due mesi spiega un sondaggio Demos & Pi apparso su Repubblica quella percentuale è salita al 25% e sembra destinata a crescere.