Grossa grana per il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez, uscito dalle recenti elezioni generali quale più probabile premier incaricabile nonché leader del partito socialdemocratico al momento più forte in Europa.

Un ospite ingombrante nella ambasciata spagnola a Caracas è piombato a guastare i preparativi del già difficile matrimonio, a Madrid, del Psoe di Sánchez con Unidas Podemos, il partito degli ex movimentisti anticasta spagnoli di Pablo Iglesias, alleanza che Sánchez accarezza da tempo per evitare di dover accordarsi con i popolari o di lasciare il governo alle destre.

Leopoldo López – il vero capo dell’opposizione venezuelana che, in quanto detenuto con una condanna a 14 anni per incitazione alla ribellione ed altri reati, ha dovuto suo malgrado lasciare temporaneamente la scena a un suo allievo, il presidente del parlamento Juan Guaidó, il quale però a lui risponde e che sarà da lui a tempo debito sollecitato a farsi da parte - dopo esser riuscito ad ottenere una rocambolesca liberazione dai domiciliari, s’è rifugiato nella residenza dell’ambasciatore di Madrid a Caracas, Jesús Silva Fernández. Senza chiedere asilo politico, per ora.

La mossa di López crea numerosi guai a Sánchez. La Spagna non ha rotto le relazioni diplomatiche con il regime venezuelano, ma ha riconosciuto Guaidó come presidente ad interim. Rifiutare la protezione al detenuto politico più famoso del Venezuela non era possibile. Ma come tenere insieme ora la gestione del rifugio di Leopoldo López – attivissimo, assai loquace, determinato da oltre dieci anni a governare il Venezuela nel post chavismo - con la gestione delle trattative con Unidas Podemos che sulla tragedia venezuelana ha posizioni antitetiche a quelle del Psoe?

Il caso López svela alcune incompatibilità interne alla più probabile maggioranza a sostegno di un nuovo esecutivo presieduto da Sánchez (socialisti e Unidas Podemos insieme agli indipendentisti, ossia una maggioranza guidata dai socialisti e vincolata alle richieste degli indipendentisti).

Pedro Sánchez può agevolmente trovare mediazioni con Podemos sulle questioni interne e sui rapporti da tenere con gli indipendentisti, ma come risolvere le difficoltà nella gestione degli affari internazionali, dove le posizioni e le alleanze dei due partiti sono diametralmente opposte da sempre?

Il Psoe ha un antico tessuto di relazioni estere con partiti di matrice liberale. Podemos, al contrario, ha rapporti con forze populiste o di sinistra radicale classica. Il problema è molto evidente in Venezuela e nel resto dell’America latina, dove la Spagna, ex potenza coloniale, coltiva intense relazioni economiche e politiche.

Un avvitarsi tragico della crisi venezuelana, per esaminare solo l’eventualità incombente, metterebbe in grave tensione una maggioranza spagnola fatta da Psoe e Unidas Podemos. Sánchez ha relazioni strette con l’operazione internazionale che ha portato all’autoproclamazione di Guaidó alla presidenza ad interim, anche se si è dissociato in anticipo da eventuali avventure militari. Podemos, al contrario, ha stretti legami con i chavisti e non ha apprezzato l’autoproclamazione di Guaidó.

Poiché la Spagna è la deputata naturale a guidare ogni processo di mediazione politica in quell’area – lo ha fatto per anni discretamente e con successo a Cuba insieme alla diplomazia vaticana – e poiché un suo sottrarsi aprirebbe ancor più spazio agli Stati uniti, che nella vicenda venezuelana di spazio ne hanno già preso parecchio, problema non da poco sarebbe per un futuro governo spagnolo fatto da Sánchez e Iglesias dover affrontare il dossier del Venezuela in fiamme.

S’è già visto quando il Tribunale supremo di giustizia venezuelano, in mano al regime, esautorò il Parlamento a maggioranza antichavista. Il Tribunale avocò a sé le facoltà legislative regalandole di fatto a Maduro.

Podemos in Spagna si precipitò a spiegare al mondo che non si trattava di un golpe. L’allora responsabile dei rapporti internazionali del partito, Pablo Bustinduy, disse che bisognava “capire la complessità della questione”, non immischiarsi in quello che descrisse come “un conflitto tra il legislativo e l’esecutivo”. I compagni gli andarono subito tutti dietro con dichiarazioni spericolate.

La rivoluzione chavista è stata molto generosa con Podemos in passato. L’ha tenuto a balia per anni. Le relazioni sono incontestabili, anche se Pablo Iglesias ha ora tutto l’interesse a sminuirle.

Anni fa, per esempio, grande eco ebbe in Venezuela la notizia dell'incontro a Ginevra tra Juan Carlos Monedero, allora numero tre di Podemos, e due funzionari chavisti, a ridosso di una conferenza sui diritti umani nella sede delle Nazioni unite. Qualche giorno dopo Podemos si rifiutò di appoggiare una risoluzione dell’europarlamento contro la detenzione di alcuni leader dell'opposizione venezuelana. In quell’occasione contestò la definizione di “arresto arbitrario”. Raccomandò di “comprendere la complessità della situazione”, nonostante i leader dell'opposizione sbattuti in galera ( non furono i primi, né gli ultimi) erano stati arrestati con ogni evidenza per lo svolgimento della loro attività politica.