PHOTO
Draghi
Oggi il discorso del presidente ucraino Zelensky al Parlamento italiano, domani le comunicazioni di Draghi alla vigilia del Consiglio europeo al quale parteciperà anche il presidente degli Usa Biden, quindi, giovedì e venerdì, il Consiglio con sul tavolo decisioni ancora più urgenti di due anni fa, di fronte all'emergenza Covid: decisioni fondamentali per tutti ma per l'Italia più che per quasi tutti gli altri. Per la politica italiana a livello europeo e mondiale è una settimana di importanza estrema, nella quale Draghi proverà a uscire dall'angolo nel quale si trova dall'inizio del conflitto. Il viatico è positivo: ieri l'Italia ha partecipato al vertice telefonico della tolda di comando occidentale, con i capi di governo di Usa, Uk, Germania e Francia. Non capitava da settimane.
All'inizio della guerra, meno di un mese fa, l'Italia era collocata in posizione eccellente nello scacchiere internazionale. Aveva avuto un ruolo quasi di leadership nella lunga lotta contro il Covid. Le cifre della ripresa la collocavano in testa all'elenco delle migliori performance in Europa. La presenza di Draghi e palazzo Chigi era una garanzia di affidabilità non solo per la Ue ma anche per gli Usa. Allo stesso tempo i rapporti con la Russia erano molto stretti e altrettanto utili per la nostra economica.
Proprio questo doppio ruolo, che poteva risultare prezioso, si è invece rivelato quasi una trappola. Quando Putin ha invitato Draghi a Mosca, alla vigilia dell'attacco, mirava in parte a disarticolare il fronte occidentale ma probabilmente anche a garantirsi un canale di comunicazione con l'Europa tramite un Paese se non amichevole almeno non del tutto ostile. Di certo il russo non pensava a impossibili gesti di rottura, riteneva però, probabilmente, di poter contare su un'Italia in grado di svolgere, dall'interno del fronte occidentale, un ruolo non troppo distante da quello esercitato oggi da Israele e Turchia. Con la differenza che si sarebbe trattato di un Paese non neutrale ma interno al fronte "nemico".
L'intera storia della diplomazia italiana, in realtà, autorizzava un disegno simile, dalla politica di apertura verso il mondo arabo della prima Repubblica sino alla posizione di Berlusconi che provò fino all'ultimo a evitare la guerra in Iraq, provando a convincere Bush jr., salvo poi schierarsi una volta fallita la sua impresa. Ma quel ruolo iniziale, quella posizione da ' colomba' ha certamente contribuito a tenere poi l'Italia, unico Paese in occidente, al riparo dal terrorismo degli anni successivi.
Gli Usa non si sono fidati, nonostante l'utilità indiscutibile che la presenza di un canale di comunicazione di quel genere avrebbe potuto rappresentare. I dubbi iniziali di Draghi su sanzioni che avrebbero minacciato la ripresa, lo stesso invito di Putin sono sembrati la prova che l'Italia costituiva l'anello debole del fronte occidentale. I moniti sono stati espliciti, quasi brutali. Draghi è stato prima richiamato severamente all'ordine, poi sbalzato fuori dalla cabina di comando franco-tedesca della Ue nella quale aveva appena messo un piede. Ad attacco ormai iniziato l'invito di Putin è stato declinato, il viaggio a Mosca cancellato.
La Russia, peraltro, sembra aver preso malissimo la linea adottata da Roma, anche perché alcuni ministri e in particolare quello degli Esteri si sono abbandonati a dichiarazioni incaute e ben poco diplomatiche anche in fase di conflitto frontale, a differenza di Francia e Germania. Le minacce esplicite e mirate di ritorsione indicano chiaramente contro chi scatterebbero le contro-sanzioni se Mosca decidesse di tagliare i rifornimenti energetici a un solo Paese per lanciare un segnale all'intera Europa.
La strettoia, oltre a costituire un rischio reale, ha un versante estremamente concreto a Bruxelles. Alle decisioni del Consiglio europeo, cioè dallo stanziamento o meno di eurobond per garantire il tetto sul prezzo del gas e per attenuare il peso della crisi su famiglie e imprese dipende in buona misura la possibilità dell'Italia di reggere l'urto senza compromettere troppo la ripresa. E' ovvio che Draghi avrebbe preferito sedersi a quel tavolo come leader di uno dei paesi guida dell'Unione piuttosto che come leader del sud povero, espediente al quale ha fatto ricorso per tornare in gioco e avere più voce in capitolo. Ma se e quanto l'Italia riuscirà a tirarsi fuori dal cono d'ombra in cui si trova dall'inizio del conflitto lo sapremo solo alla fine di questa settimana cruciale.