Tensione alle stelle tra Francia e Israele sulla Palestina. «Riconoscere uno Stato palestinese non è semplicemente un dovere morale, ma un'esigenza politica», ha dichiarato il presidente francese, Emmanuel Macron, nel corso di una conferenza stampa a margine del Forum difesa di Singapore, aggiungendo poi che gli stati europei «devono rafforzare la loro posizione collettiva contro Israele se non ci sarà una risposta commisurata alla situazione umanitaria che verrà fornita nelle prossime ore e nei prossimi giorni nella Striscia di Gaza».

Pronta è arrivata la replica del ministro degli esteri israeliano, Israel Katz, che, dopo aver autorizzato 22 nuovi insediamenti di coloni israeliani in Cisgiordania, ha voluto mandare un chiaro messaggio al presidente Macron e a coloro che volessero seguire il suo esempio, «riconoscerete uno Stato palestinese sulla carta, e la carta verrà gettata nel cestino della storia, quella di Macron è una crociata contro di noi». Katz, in visita all’insediamento di Sa-Nur, nel nord della Cisgiordania, dismesso da Israele nel 2005 e prossimo alla riapertura, ha dichiarato: «Costruiremo lo Stato ebraico israeliano in Cisgiordania».

Il ministro degli Esteri israeliano ha poi lanciato un ultimatum ad Hamas «Gli assassini di Hamas» ha scritto Katz su X, «saranno costretti a scegliere: accettare i termini dell’accordo Witkoff sugli ostaggi oppure essere annientati. L'Idf continua la sua attività a Gaza colpendo e smantellando gli avamposti di Hamas, evacuando la popolazione da ogni zona di combattimento e attaccando l'area su una scala senza precedenti per proteggere i nostri soldati. Raggiungeremo gli obiettivi della guerra: liberare gli ostaggi e sconfiggere Hamas».

Intanto proseguono le prove di pace in Palestina, mentre dal cielo piovono ancora bombe. La proposta formulata dal presidente Usa, Donald Trump, e veicolata tramite l’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff, è stata accettata da Israele ma non da Hamas, in quanto, secondo uno dei leader del movimento islamico di resistenza che vive in esilio, Bassem Naim, non soddisferebbe «le richieste del nostro popolo». La risposta positiva da parte d’Israele significherebbe, secondo a Naim, «la perpetuazione dell’occupazione, la prosecuzione degli omicidi e della fame, anche durante il periodo di tregua temporanea». Ciononostante Hamas starebbe valutando su come rispondere alla proposta, sarebbero infatti in corso delle consultazioni tra le diverse forze e fazioni palestinesi sulla proposta di cessate il fuoco.

Il piano prevederebbe una tregua di 60 giorni, prorogabile a 70, e il rilascio di cinque ostaggi vivi e nove salme nella prima settimana per uno scambio con alcuni detenuti palestinesi. Non ha perso tempo il ministro della sicurezza nazionale, recentemente reintegrato nel governo, Itamar Ben Gvir, «È tempo di entrare con tutta la forza, senza esitazioni, per distruggere e uccidere Hamas fino all’ultimo uomo» ha scritto Ben Gvir su Telegram, a seguito del rifiuto opposto da Hamas alla proposta di tregua statunitense, e ha poi aggiunto che «la confusione, l’incertezza e la debolezza devono finire. Abbiamo già perso troppe occasioni».

La proposta americana prevede anche il ritorno alla distribuzione degli aiuti nella Striscia in capo all’Onu e alle altre organizzazioni internazionali; per il momento è gestita da GHF, Gaza Humanitarian Foundation, composta da contractor privati americani. Hanno fatto il giro del mondo el immagini dei civili palestinesi in fila, tra filo spinati e divisiorie di metallo, sotto il sole cocente, ad aspettare i pochi aiuti che stanno entrando nella Striscia. Proprio l’Onu, tramite il portavoce dell’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari, Jens Laerke, lancia l’allarme: «Gaza è il luogo più affamato della Terra. È l’unico territorio definito, inteso come Stato o zona definita all’interno di uno Stato, dove l’intera popolazione è a rischio di carestia. Il 100 per cento della popolazione è a rischio carestia».