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METTE FREDERIKSEN PRIMO MINISTRO DANESE, VOLODYMYR ZELENSKY PRESIDENTE UCRAINA, MARK RUTTE SEGRETARIO GENERALE DELLA NATO, GITANAS NAUSEDA PRESIDENTE LITUANIA, ANDRZEJ DUDA PRESIDENTE POLONIA, NICUSOR DAN PRESIDENTE DELLA ROMANIA
La Nato cambia passo. E lo fa con una dichiarazione d’intenti inequivocabile: l’Alleanza deve prepararsi “al peggio”, perché la minaccia russa non è più una possibilità astratta, ma una prospettiva concreta. Durante la ministeriale Difesa che si è tenuta ieri a Bruxelles, i vertici dell’organizzazione hanno alzato il livello dell’allerta e, con esso, quello delle aspettative nei confronti dei Paesi membri. «Quando si è veramente preparati alla guerra, non si viene attaccati», ha dichiarato il segretario generale Mark Rutte, rilanciando la dottrina della deterrenza e annunciando un aumento importante delle spese: «Avremo bisogno di un investimento extra considerevole». L’obiettivo è chiaro: costruire una Nato per le minacce del 2025 e degli anni a venire venendo anche incontro alle richieste dell’amministrazione Trump che chiede più spesa da parte degli alleati europei.
L’urgenza è stata infatti sottolineata dall’ambasciatore americano Matthew Whitaker, che ha parlato di una Russia impegnata non solo a proseguire il conflitto in Ucraina, ma a pianificare nuove mosse aggressive. «Il Cremlino sta ricostruendo il proprio esercito. Mosca guarda ai territori dell’ex Grande Russia: Moldavia, Lituania, Estonia, Lettonia. Gli alleati devono fronteggiare la Russia.
Non abbiamo altra scelta». Gli americani chiedono un salto di qualità strategico e finanziario, soprattutto da parte dei partner dell’Ue, finora ritenuti troppo dipendenti dalla protezione garantita da Washington. È finita l’era dell’ombrello automatico. Gli Stati Uniti – pur senza ventilare un ritiro delle proprie truppe dall’Europa – si aspettano che il Canada e i Paesi del Vecchio Continente si affranchino dalla dipendenza da Washington.
L’obiettivo è ambizioso: spesa militare al 5% del PIL per ogni membro dell’Alleanza. «Non è un suggerimento», ha precisato Rutte, «ma un impegno concreto». Una soglia che però appare oggi fuori portata per molti. L’Italia, per esempio, si attesta attualmente attorno all’ 1,3%, meno di unte rzo dell’obiettivo indicato. Lo stesso ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha frenato: «Nessuno sostiene davvero l’obiettivo del 5%. È irrealistico. Stiamo parlando, piuttosto, di aumenti progressivi».
A partire dal prossimo vertice dell’Alleanza, che si terrà a fine mese nei Paesi Bassi, si discuteranno nuovi obiettivi di spesa condivisi. La parola chiave sarà interoperabilità, che significa rafforzamento delle forze terrestri, potenziamento dei sistemi di difesa aerea, sviluppo di capacità missilistiche a lungo raggio, investimenti nei sistemi di comando e controllo, e strutture manovrabili. «Questo deve accadere in tutto il territorio della Nato e deve accadere ora», ha concluso Rutte.
Un’esortazione drastica, ma che fotografa un contesto in rapida evoluzione. Secondo diversi report delle intelligence occidentali, Putin non ha alcuna intenzione di sedersi al tavolo di una pace in Ucraina. Il conflitto, nelle intenzioni del Cremlino, potrebbe essere solo l’inizio. I segnali non mancano: riorganizzazione delle forze armate russe, retorica imperialista, manovre ai confini Nato. E proprio da uno di questi confini è arrivato il monito più duro: «Se non vogliamo ritrovarci tra due o tre anni a Bruxelles a dire che avremmo fatto meglio a iniziare a imparare il russo, allora dobbiamo armarci ora». A parlare è stata la ministra della Difesa della Lituania, Dovile Šakaliene. La sua dichiarazione, seppur volutamente provocatoria, riassume il nuovo spirito del tempo: l’Europa deve scegliere se rafforzarsi o rassegnarsi.
Un equilibrio strategico tra deterrenza e preparazione militare è ciò che la Nato ritiene necessario per garantire la pace. Il paradosso, più volte evocato durante il vertice, è che solo chi si prepara seriamente alla guerra riesce a prevenirla. E mentre le vecchie certezze sull’inviolabilità dei confini europei vacillano, le capitali dell’Alleanza si interrogano su come evitare di trovarsi impreparate. «Ogni centimetro del territorio della Nato sarà difeso», ha ribadito Rutte. «Chiunque pensi il contrario – Putin o chi per lui – si sbaglia, e ne affronterà le conseguenze».
Ma la vera sfida sarà politica e sociale: convincere le opinioni pubbliche, già provate da crisi economiche e tensioni interne, che l’aumento massiccio della spesa militare non è un lusso bellico, ma un’assicurazione sulla sopravvivenza democratica dell’Europa. In gioco non c’è solo l’Ucraina, ma la credibilità stessa del progetto atlantico. E, forse, anche il futuro dell’ordine internazionale liberale.