Angelo Di Marco aveva 58 anni ed era tenuto in prigione in modo assolutamente illegale. Le sue condizioni di salute erano incompatibili con il carcere. La sua situazione giudiziaria permetteva largamente la concessione dell’affidamento ai servizi sociali. Tenerlo in prigione è stato un atto in violazione aperta ed evidente degli articoli 27 e 32 della Costituzione. Una sfida arrogante a quegli articoli. Se non li conoscete li copiamo qui ( anche ad uso di qualche magistrato che magari li ha scordati): «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Così è scritto all’articolo 27. Invece l’articolo 32 precisa che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo» .

Angelo Di Marco è morto solo, da detenuto, vomitando sangue.

Perché stava in prigione, per un reato che la giurisprudenza definisce bagatellare, sebbene avesse il fegato a pezzi? Perché è stato lasciato morire in modo atroce, solo e abbandonato nell’infermeria di Rebibbia, sebbene esistessero tutte le documentazioni necessarie che provavano la gravità della sua malattia? State tranquilli. Non solo nessuno pagherà per quello che è successo, ma non ci saranno né giornali né partiti politici che chiederanno conto. Se c’è il sospetto di una caso di malasanità, l’informazione scatta subito. Della malagiustizia non frega nulla a nessuno.

State tranquilli, oggi sui giornali questa notizia non la troverete, o la troverete piccola piccola.

State tranquilli, quello di Angelo Di Marco non è un caso clamoroso. È successo tante altre volte, e tante altre volte è passato sotto silenzio.

No, non ho nessuna voglia di chiedere punizioni esemplari per i responsabili. Non mi piace chiedere punizioni per nessuno, e poi so che la legge non permette di punire i magistrati. Vorrei solo che qualche magistrato serio, come ce ne sono tanti, esprimesse solidarietà ai familiari di Angelo Di Marco. Mi piacerebbe se lo facesse anche il Csm, e magari anche il ministro. E soprattutto mi piacerebbe se il sacrificio del signor Di Marco valesse almeno come spinta per affrettare la riforma carceraria.

La riforma è lì, sul tavolo del governo. Attende solo un atto formale. Cinque minuti. Bisogna approvarla senza modifiche. Rita Bernardini e quasi altre mille persone da un mese stanno facendo lo sciopero della fame per sollecitare questo provvedimento. Non è una riforma pericolosa, è solo un atto di civiltà. Come spiega molto bene Simona Giannetti a pagina 14, non è una riforma che libera i mafiosi né tantomeno che riduce il potere dei magistrati. Al contrario: allarga la possibilità per i magistrati di decidere sulla liberazione e sulle pene alternative per chi ne ha diritto. E noi speriamo che molti magistrati possano usare con saggezza questi nuovi poteri.

Il grado di civiltà di un paese non si calcola sul numero delle persone che riesce a sbattere in prigione. Si calcola sulla capacità dello Stato di difendere la legalità e anche di rispettare la legalità. Nel caso di Angelo Di Marco la legalità non è stata rispettata. E questa è una ferita profonda per la dignità nazionale.