È in corso una gara - tra giornalisti, intellettuali, opinionisti, e anche esponenti politici - per prenotare un posto in prima fila ai funerali del Pd. Non si sa ancora chi sarà l’officiante. Forse Travaglio, forse Michele Emiliano.

La corsa ha un motivo. Chi avrà il posto di prima fila potrà anche godere, successivamente, della benevolenza del nuovo potere legastellato. Non voglio per nessuna ragione al mondo citare Ennio Flaiano, autore che non ho mai amato e solo ora inizio ad apprezzare. Però...

C’è un problema: il Pd non è morto.

Da ragazzo andavo abbastanza bene in matematica, ora probabilmente ho perso l’allenamento. Però provo a ragionare un po’ coi numeri che riesco a trovare. Dunque in Italia - così ha certificato il 4 marzo - esistono tre schieramenti. Quello di centrosinistra, cioè il Pd, che è apprezzato da circa il 18 per cento degli elettori. Quello di centrodestra ( Forza italia, più Lega, più Fratelli d’Italia) che dispone più o meno del 37 per cento. E quello dei Cinque Stelle che è il primo partito con il 32 per cento dei voti.

Domenica, ai ballottaggi, si partiva da qui. Era abbastanza prevedibile che alle elezioni comunali il risultato riflettesse questi rapporti di forza. Anche se il Pd partiva con un ulteriore svantaggio, perché ormai da diversi anni, si sa, ai ballottaggi il centrodestra e i 5 Stelle tendono a unificare i propri voti.

Il Pd resta isolato e necessariamente soccombe. È successo in passato a Roma, a Torino, a Livorno e in molte altre città.

Dunque si poteva immaginare - basandosi sulla statistica e sulle proiezioni del voto di marzo - che 5 Stelle e centrodestra si sarebbero spartiti i Comuni in palio, lasciandone magari un paio al Pd. Invece le cose non sono andate esattamente così. Sui 20 Comuni capoluogo nei quali si è votato, cinque ( cioè un quarto, cioè il 25 per cento), sono andati al Pd, nove ( cioè il 45 per cento) sono andati al centrodestra ( credo trainato dalla formidabile campagna elettorale xenofoba di Salvini ancora in corso), e 1 ( cioè il 5 per cento) è andato al partito di maggioranza relativa. Gli altri a liste civiche.

Immaginavo che i giornali titolassero tutti sulla disfatta dei 5 Stelle.

Che oltretutto a Roma ( che non è una cittadina piccola piccola) hanno perso i due municipi che sono tornati al voto ( Garbatella e Montesacro) dove vivono circa 300 mila cittadini, cioè più che in qualunque altra delle città dove si è votato esclusa Catania. E hanno perso questi due municipi a vantaggio del Pd.

Mi pare che la sintesi dei risultati elettorali fosse: netta avanzata del centrodestra, stabile ( con lieve miglioramento) il Pd ( nonostante la disfatta Toscana), crollo dei 5 Stelle.

Invece i giornali, tutti, ci hanno raccontato della fine del Pd. E dunque della fine, in Italia, della sinistra. E basta. E lo hanno fatto, quasi tutti, con notevole gioia.

Come mai? Penso per due ragioni. La prima, lo ho già accennato, è la voglia di ossequio verso chi ha conquistato il potere il 4 marzo, e si appresta a prendere il controllo, oltre che del Parlamento e dei ministeri, anche della Rai, dei vari enti pubblici, del Consiglio superiore della Magistratura, eccetera.

La seconda ragione è la ricerca costante della semplificazione, che è una dote inestirpabile nell’intellettualità e nel giornalismo italiano.

Mi spiego meglio. Una svolta reazionaria come quella che si è realizzata, nelle urne, il 4 marzo, è molto difficile da gestire. E può produrre giganteschi conflitti, di ogni tipo. Soprattutto sociali e culturali. Per evitare questi conflitti bisogna semplificare. E la più facile delle semplificazioni è la dichiarazione di morte di una delle parti in campo, cioè di quella che potrebbe opporsi alla svolta reazionaria.

Ho visto che anche i commentatori più intelligenti e colti ( ora sto pensando a Ezio Mauro) non si sottraggono alla considerazione comune a tutti: la sinistra non ha capito che le cose stavano cambiando, che il vento aveva girato, e che dunque bisognava adattarsi alle novità. Giusto, naturalmente, però nessun commentatore ha saputo spiegare come. Come ci si adatta alla novità di un forte spostamento a destra dell’opinione pubblica, che si verifica in tutto l’Occidente?

Ho paura che l’idea prevalente, anche in ampi settori della sinistra, sia quella di chi pensa che per adattarsi al nuovo bisogna cercare di somigliare al nuovo. Dunque se l’opinione pubblica, in maggioranza, è favorevole al censimento e all’espulsione dei Rom, all’esecuzione a fil di rivoltella dei ladri, per mano privata, alla fine dello stato di diritto, al respingimento dei migranti, alla chiusura dei porti, al divieto di rispondere agli Sos in mare... beh, la sinistra deve anch’essa iniziare a dire che censire ed espellere i Rom è una necessità dolorosa, che almeno alle gambe al ladro è bene che gli si spari, che rispondere agli Sos in fondo non è una legge di Dio, eccetera eccetera… Se la sinistra davvero facesse così, allora, io penso, non so se scomparirebbe ma comunque diventerebbe del tutto inutile. Mentre a me pare che mai come oggi ci sia bisogno di una sinistra, che sappia fare opposizione con l’anima tra i denti.

Io vedo il livello della nostra civiltà della nostra cultura civile, del nostro spirito pubblico - inabissarsi. Quando senti un ministro dell’Interno dire che non si risponde agli Sos in mare, e vedi che questo non suscita sdegno, o quando senti dire che i porti sono chiusi, che si farà il blocco navale e che si cacceranno dall’Italia i Rom stranieri, a me viene da pensare che è successo, nel profondo del nostro paese, qualcosa di imprevedibile e spaventoso. ( Vedrete che riuscirò ad arrivare fino alla fine di questo articolo senza scrivere mai la parola fascismo: ma è un esercizio difficile…).

Ho letto ieri su Repubblica ( a pagina 11, in basso, purtroppo), un articolo molto bello di Caterina Pasolini. E’ l’intervista a una volontaria che la settimana scorsa - era notte - si è sentita ordinare di non soccorrere un gommone in difficoltà con 120 profughi. La mattina dopo del gommone era rimasto solo un salvagente. La volontaria era sconvolta e si chiedeva perché non arrestassero lei e tutto l’equipaggio, per mancanza di soccorso. Si disperava, non si dava pace, non sapeva spiegarsi come mai non si fosse ribellata a un ordine inumano. Si sentiva in qualche modo responsabile di una strage.

Qualche giorno fa un intellettuale di vecchio corso, Furio Colombo, in un articolo sul “Fatto Quotidiano”, ha usato un paragone sconvolgente. Ha paragonato il modo nel quale sta operando il ministro Salvini al modo nel quale operava Adolf Eichmann. E’ una esagerazione? Colombo è stato sommerso dalle critiche e dagli improperi, ma il suo ragionamento era robusto, e risentiva della sua esperienza. Colombo è di famiglia ebrea, ha visto, da ragazzino, la deportazione e lo sterminio. E anche l’indifferenza, il silenzio di fronte allo sterminio. Colombo sa che Primo Levi quando scrisse la Tregua non trovò nessuno che gliela pubblicasse, anche Einaudi la rifiutò per molti anni. Per questo trema, Colombo, e grida e ci avverte, e resta indifferente agli insulti, ai quali è abituato.

Qualcuno ha voglia di raccogliere questo grido? Il Pd è in grado di capire che il suo compito, in un frangente come questo, è decisivo? Talvolta si governa più dall’opposizione che da Palazzo Chigi. Il Pd deve tornare in politica, impedire che la svolta reazionaria porti a una svolta totalitaria e che imponga, come prezzo, migliaia e migliaia di vite umane perdute nel mediterraneo. Chi urla per loro? Finora, dal Palazzo, ho sentito solo Renata Polverini. Che è una deputata di destra. Una coraggiosissima deputata di destra.

Il Pd ha perduto le elezioni, ma non ha subito nessuna disfatta, anche perché c’è un pezzo di Italia, minoritario ma combattivo, che si rifiuta di finire alla coda dei razzisti. Il Pd deve rappresentare questo pezzo d’Italia, dargli voce, deve muoversi. Non ci importa niente se il segretario sarà Renzi, o Martina, o Zingaretti, o Calenda. Conta poco. Conta quanto Renzi, e Martina, e Zingaretti e Calenda, metteranno la loro forza e il loro prestigio e le loro capacità politiche per fermare l’ondata reazionaria.