Francesco è l’opposto del capolavoro di Paolo Sorrentino, The Young Pope. Il giovane americano che conquista il Vaticano, immaginato e portato sul piccolo schermo dal regista de La Grande Bellezza, parla poco, non si mostra, è sprezzante e cerca di affermare una Chiesa austera e reazionaria. Francesco parla molto, è affabile, viaggia, si mostra con piacere, non per narcisismo ma perché ama il contatto con le persone, ancora meglio se umili. Soprattutto questo Papa, il Papa vero, sta tentando qualcosa di unico: rinnovare contemporaneamente “lo spirito” della chiesa e insieme le sue strutture mondane, cioè quelle strutture che di fatto oltre a occuparsi delle anime dei fedeli, sono il braccio politico ed economico del Vaticano. Eppure, per quanto strenuamente diversi, anzi opposti, il Papa della serie televisiva e il Papa argentino hanno una cosa in comune: entrambi suscitano sgomento, scuotono le coscienze. Lo fanno in due modi diversi, contrapposti, ma l’effetto sembra lo stesso. Uno parla di odio ( The Young Pope) l’altro ( Francesco) parla d’amore: l’amore per Dio che si tramuta in amore per l’altro, per l’umanità. Ma entrambi, come una maledizione, che il regista Sorrentino intuisce e racconta, restano inascoltati, non suscitano la reazione che dovrebbero. Ma mentre il Papa fantastico gode di questo isolamento, per suscitare - spera - l’effetto contrario, Francesco non fa calcoli e non fa sconti. Le sue parole piene d’amore hanno l’effetto di macigni, ma non provocano la reazione che dovrebbero. Sono discorsi contro le guerre, contro l’indifferenza, contro lo sfruttamento degli esseri umani e dell’ambiente. Sono parole che toccano il punto oggi centrale: quello sull’accoglienza dei migranti. È forse uno dei pochi leader mondiali, se non l’unico, che non fa distinzione tra rifugiati e migranti cosiddetti economici: secondo lui tutti devono essere accolti, tutti appartengono a una sola categoria: quella di esseri umani. Eppure il suo magistero così unico e forte, a poco a poco, sta sparendo dalle prime pagine dei giornali e dai titoli dei telegiornali. Facevano più notizia i Papi che cercavano di mettere bocca sugli affari di altri Stati, come quello italiano, o che si inerpicavano in sofisticate disquisizioni teologiche. Francesco sta facendo una cosa unica: riportare la Chiesa vicino a ciò che raccontano i Vangeli, cioè alle parole di Cristo. E lo dice a tutti, piccoli e grandi della terra. Lo ha detto ieri anche in tv, intervenendo al programma del primo canale Rai, Uno Mattina. Ha chiesto di festeggiare un Natale cristiano, come quello delle origini, senza sprechi, senza fronzoli. È un messaggio che non riguarda solo i credenti, ma tutti coloro che guardano con attenzione alla vita della Chiesa.

Ma la radicalità di Francesco dà fastidio. La sua è una crociata contro un mondo che, ogni giorno di più, combatte guerre, alza muri, costruisce barriere vere o ideali, pensa che i problemi si risolvano criminalizzando l’altro. Francesco parla ai poveri, ma chiede loro di non odiare chi sta peggio, chiede invece di lottare insieme e di credere nella solidarietà. Sono messaggi bomba, ma spesso cadono nel vuoto e nell’indifferenza. È un modo per arginare il loro potere sovversivo, per ridurne la portata. Ma è impossibile che tanto coraggio, tanto amore, non riescano a suscitare importanti conseguenze. Prima o poi accadrà. Prima o poi ci si renderà conto che Francesco parla di noi, parla del futuro. Alla fine di The Young Pope la strategia comunicativa del giovane americano ottiene il successo sperato, tutti pendono dalle sue labbra. Che sia una premonizione?