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Mai immagine può raccontarci in modo più perturbante la barbarie del sistema penale americano dell’esecuzione subita lo scorso anno dal 58enne Kenneth Eugene Smith in una prigione dell’Alabama.
Un’esecuzione “finita male” con l’uomo che è rimasto legato alla barella per oltre tre ore mentre il boia e i suoi assistenti provavano inutilmente di infilare nelle sue vene gli aghi per l’iniezione letale, decine di tentativi sulle braccia, poi sul collo all’altezza della clavicola, mentre due funzionari del carcere gli bloccavano la testa. Scena da bassa macelleria: «I suoi carnefici sapevano bene che in quel punto non potevano ragionevolmente trovare una vena ma hanno continuato a torturalo» tuonò l’avvocato difensore. Potevano smettere molto prima, ma come aveva spiegato il direttore del penitenziario, «bisognava concludere l’esecuzione ad ogni costo per rispetto nei confronti dei parenti della vittima».
Nei momenti più concitati la barella di Smith è stata addirittura inclinata a novanta gradi in una grottesca postura di «crocifissione inversa» per favorire l’entrata degli aghi. Alla fine però hanno dovuto desistere e la procedura è stata annullata. Anzi, è stata rinviata: il procuratore generale dell’Alabama Steve Marshall ha infatti chiesto alla corte suprema di fissare al più presto la data per una nuova esecuzione. Che avverrà con un metodo sperimentale, ovvero tramite ipossia da azoto. Oltre all’Alabama anche Oklahoma e Mississippi hanno autorizzato l’ipossia da gas azoto ma finora nessun condannato a morte è mai stato soppresso con questo metodo negli Stati Uniti. In tal senso Smith sarà una cavia. A parte i piloti militari che seguono un addestramento in cui è prevista la perdita di ossigeno ad alta quota per familiarizzare con le sensazioni anticipatrici dell’ipossia, non esistono dati medici che garantiscano la “dolcezza” del metodo.
Difficile immaginare per un essere umano un supplizio più crudele del dover affrontare il boia per una seconda volta sottoponendosi a un’agonia sconosciuta: «È disumano e terribile giustiziare qualcuno con un metodo di cui non si conoscono le ancora le conseguenze», ha tuonato l’Equal Justice Initiative, un gruppo di avvocati e giuristi che da anni si batte per l’abolizione della pena capitale.
I sostenitori dell’ipossia da azoto affermano che si tratta di un sistema rapido e indolore che farà perdere i sensi al condannato in pochi minuti, per i suoi detrattori invece ci sono molte probabilità che le cosa vadano storte. Ad esempio la maschera attraverso cui viene inalato il gas dev’essere perfettamente aderente al volto per non far penetrare l’ossigeno, altrimenti la morte può sopraggiungere dopo sofferenze atroci tramite asfissia da anidride carbonica. Esistono anche raccomandazioni delle autorità sanitarie per contenere la presenza di gas azoto sui luoghi di lavoro in virtù della sua elevata tossicità.
Negli Usa l’ipossia da azoto era generalmente impiegata per l’eutanasia degli animali domestici, almeno fino al 2020 quando l’American Veterinary Medical Association l’ha fermamente sconsigliata, citando ricerche secondo cui provocherebbe «grande dolore fisico e un acuto senso di panico», e definendola per queesto «inaccettabile». Oggi nessun cane e gatto viene soppresso con questo metodo che invece rimane ancora in voga negli allevamenti di polli e tacchini verso i quali l’americano medio prova molta meno empatia.
Smith era stato condannato nel 1988 per l’omicidio di Elizabeth Dorlene Sennett, la moglie di un pastore protestante. Dalle indagini emerse che la donna fu uccisa su commissione, per circa mille dollari: era stato infatti lo stesso reverendo a ingaggiarlo come killer per poter disporre dell’assicurazione sulla vita della consorte e poter pagare i debiti da cui era sommerso. Con 11 voti favorevoli e uno contrario la giuria stabilì per Smith la prigione a vita senza possibilità di libertà condizionale ma un giudice impugnò la sentenza tramutandola in pena di morte. Oggi peraltro non sarebbe possibile perché nel 2017 l’Alabama ha approvato una legge che impedisce ai giudici di modificare i verdetti delle giurie popolari.