Nasrin Sotoudeh è di nuovo libera. L’avvocata iraniana per i diritti umani, arrestata il 29 ottobre scorso al funerale della 16enne Armita Garavand, pestata a morte dalla polizia morale perché non indossava il velo, è stata scarcerata stasera, su cauzione, in attesa del processo.

Sotoudeh era stata trasferita due giorni fa al carcere di Evin, dopo aver trascorso quindici giorni nella prigione di Qarchak, un ex allevamento di bestiame che per diverso tempo è stato utilizzato come ricovero per tossicodipendenti, prima di essere convertito in carcere. Lì era stata portata assieme ad altre 22 donne e 20 uomini, quasi tutti rilasciati dietro il pagamento di una cauzione di 500 milioni di toman, pari a 11mila euro, in attesa del processo. Cauzione che a Sotoudeh, fino a oggi, era stata negata, nonostante i tentativi del suo avvocato Mohammad Moghimi, che al Dubbio aveva definito il rifiuto dell’autorità giudiziaria iraniana «una mossa illegale». Ora, forse grazie anche alla pressione internazionale, le autorità hanno ceduto, concedendo all’avvocata di attendere a casa la celebrazione del processo.

Ad accogliere Sotoudeh fuori dal carcere il marito Reza Khandan, che da giorni si batteva per la sua liberazione e contro l’oppressione del regime contro le donne. In una toccante lettera pubblicata oggi dal Dubbio Sotoudeh ha raccontato il momento dell’arresto e la ribellione delle sue compagne di sventura, che nel cortile della procura hanno continuato a rifiutare l’obbligo del velo. Una ribellione portata fino in fondo da Sotoudeh, alla quale l’atto d’accusa è stato consegnato in maniera illegittima nel furgone della polizia, dove hanno tentato più volte di costringerla a indossare il velo per condurla in Tribunale. Nessuna legge iraniana, però, impone di stravolgere le procedure in assenza del velo. Nasrin, già condannata dal regime per aver difeso le donne della via della Rivoluzione che rifiutavano di coprirsi il capo, ha sempre rifiutato l’ingresso in Tribunale, proprio per non legittimare un’autorità giudiziaria che agisce in totale violazione dello Stato di diritto. E paradossalmente, in questa occasione, «mi sono ritrovata a insistere per comparire davanti al procuratore di Evin, senza veli. Alcune di noi, le donne accusate, avevano trascorso ore nel cortile del procuratore di Evin, di fatto femminilizzandolo, senza rendersi conto di ciò che avevamo fatto. Avevamo mandato in convulsione Evin, così totalmente virile e di massima sicurezza, con i nostri capelli...».

Sotoudeh era stata aggredita e arrestata dopo aver definito la morte di Armita un «omicidio di Stato». Ufficialmente, la colpa dell’avvocata è stata quella di essersi presentata in pubblico senza velo e di aver portato avanti una «attività contro la sicurezza mentale della società». Ma potrebbe trattarsi di un protesto, dal momento che Sotoudeh è già finita nel mirino del regime più volte per la sua attività di difesa delle donne, tanto da essere stata condannata a 148 frustate e 33 anni e mezzo di carcere all’esito di un processo ingiusto. sarebbe stato «pianificato in anticipo». Secondo Khandan, l’attacco a coloro che stavano partecipando al funerale sarebbe stato «pianificato in anticipo». Sarebbero stati alcuni dei presenti poi arrestati a sentire, prima dell’aggressione, gli agenti discutere dell’assalto programmato, che ha portato all’arresto di oltre sessanta persone, la maggior parte delle quali donne. Tra queste Sotoudeh, che è stata brutalmente picchiata, come testimoniato dai numerosi lividi sul suo corpo e dagli occhiali rotti, a conferma del fatto che i colpi erano indirizzati alla testa. «Soffre di mal di testa a causa di ictus multipli», aveva scritto Khandan su Facebook, dove poi ha rivelato anche l’aggressione a colpi di taser, spiegando che la moglie aveva avviato anche uno sciopero della fame e dalle medicine. «Hanno sfinito i partecipanti dopo averli picchiati e trascinati lungo la lunga strada sulle lapidi - aveva aggiunto Khandan -. Circa 50 persone hanno attaccato i partecipanti contemporaneamente, senza che la folla cantasse o facesse alcuna mossa. Almeno quattro parenti stretti di Armita e della sua famiglia erano tra i detenuti identificati al centro di detenzione e poi rilasciati».

Il funerale di Armita si era infatti svolto sotto l’occhio vigile delle forze della sicurezza organizzata della Repubblica Islamica, al punto che i presenti hanno evitato di mangiare e bere nella sala dei ricevimenti. Poche ore prima, Sotoudeh aveva espresso la propria condanna nei confronti della politica iraniana, attribuendo la morte della giovane al regime e dedicando il riconoscimento alle «donne che si sono sollevate per liberarsi dal giogo opprimente del patriarcato».